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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2012 alle ore 09:01.
Sembra un paradosso: le borse scendono, ma sui mercati azionari l'ottimismo è alle stelle. Lo si vede dall'indice curato da Charles Schwab (Activ Trader Sentiment Survey) che è ai massimi da 4 anni. Lo si capisce dalle dichiarazioni di alcuni grandi investitori nei giorni scorsi (Larry Fink di BlackRock e Warren Buffett); da quelle freschissime di Vince Farrell («la miglior opportunità d'acquisto negli ultimi 40 anni»), di Barton Biggs (il fondatore di Traxis Partners), degli analisti di Citi (che s'immaginano l'avvento di una nuova rivoluzione industriale); e, infine, anche di Goldman Sachs che, proprio l'altro ieri, ha sottolineato come il presente costituisca per gli investitori una di quelle opportunità per uscire dai bond ed entrare nelle azioni che capitano una volta sola nell'arco di una generazione.
Con malcelata perfidia, qualche operatore ha notato come il messaggio ottimista di Goldman Sachs abbia coinciso con il ribasso delle borse e, ricordando un adagio assai diffuso a Wall Street e Londra (fai quello che Goldman fa e non quello che dice), ha preso il consiglio della grande banca come un segnale contrario.
Del resto, qualche settimana fa, a sorpresa era diventato ottimista anche Nouriel Roubini, il più bearish (da "orso") degli economisti. E questo, hanno concluso unanimi gli operatori, è il più forte segnale contrario. In realtà sui mercati capita spesso che le fasi di ribasso avvengano quando l'ottimismo raggiunge una vetta: è una reazione comprensibile, se si pensa che un razionale pizzico di prudenza consiglia di monetizzare i guadagni conseguiti dopo due o tre mesi di mercati Toro.
Pochi giorni di ribasso non significano la fine dei rialzi di borsa e non consentono di dire che gli ottimisti abbiano torto: specie se sostengono la maggior convenienza delle azioni rispetto ai bond. Si possono giustificare le flessioni degli ultimi giorni sui listini, adducendo le preoccupazioni sul rallentamento dell'economia cinese o i deludenti dati arrivati ieri dagli indici provvisori dell'attività manifatturiera e dei servizi nell'Eurozona; e allo stesso modo si possono giustificare i rialzi nei rendimenti dei titoli di Stato italiani e spagnoli, portando a pretesto lo sforamento del deficit pubblico di Madrid, ufficializzato di recente, o le magagne delle banche iberiche e la crisi del mercato immobiliare, che sono note da tempo. «È chiaro che l'economia cinese potrebbe avere un atterraggio brusco», ha sostenuto ieri un broker americano, ripetendo un timore che si rincorre da anni e che emerge solo quando qualcosa va storto sui mercati occidentali. Un giorno o l'altro anche la Cina finirà in recessione, ma un'economia che rallenta di mezzo punto al 7,5% non segnala certo un pericolo imminente.
Forse i migliori interpreti di questa incerta fase dei mercati sono stati gli uomini di Barclays: siamo di fronte a una piccola correzione, sostengono. Ma non è il caso di uscire poiché l'economia è in leggera ripresa e gli scambi sui mercati sono piuttosto bassi. Invece di ridurre il rischio complessivo è meglio riposizionare i portafogli privilegiando le aree (Usa, Germania, Brasile, Russia) più forti e, in ogni caso, le azioni sopra i bond.
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