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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2012 alle ore 08:15.

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FIRENZE
L'offerta irrevocabile della famiglia Aleotti per rilevare il 4% di Banca Mps è stata accettata dalla Fondazione Monte dei Paschi. Con questa operazione, che sarà formalizzata oggi sulla base di un controvalore di circa 170 milioni, l'Ente senese informa di avere già negoziato l'8,2% di quel 15,5% messo sul mercato, a un prezzo medio unitario di 0,376 euro.
In realtà, il pacchetto libero dai vincoli dei creditori è solo del 13% e la Fondazione punta proprio a raggiungere quel traguardo. In tempi brevi e senza vendere a fondi di private equity. «Abbiamo contatti con diversi investitori e c'è interesse anche sul mercato retail: contiamo di poter chiudere la partita nel giro dei prossimi giorni», sottolinea il direttore generale, Claudio Pieri.
Non sono previsti, insomma, altri passaggi di quote significative come quella finita nel portafoglio dei fratelli Lucia e Alberto Giovanni Aleotti, imprenditori fiorentini titolari del gruppo farmaceutico Menarini, che così sono diventati grandi azionisti della terza banca italiana, al pari del colosso assicurativo francese Axa e dopo la Fondazione.
«La deputazione amministratrice - spiega una nota uscita ieri da Palazzo Sansedoni - ha deciso di proseguire prioritariamente nelle trattative con altre potenziali controparti strategiche e nelle operazioni di cessione fuori mercato ("ai blocchi", n.d.r.), al fine di massimizzare la valenza strategica e economica della dismissione nei modi fino a ora perseguiti, nella ragionevole convinzione di poter conseguire con tali forme tecniche la pienezza dell'obiettivo. In relazione ai rumors apparsi sulla stampa - aggiunge il comunicato - la Fondazione smentisce formalmente l'intenzione di procedere a un collocamento accelerato delle quote sul mercato (accelerated book building)».
Il dossier, affidato agli advisor Mediobanca e Rothschild, relativo alla vendita di asset e partecipazioni per recuperare i mezzi finanziari necessari a rimborsare buona parte dei 900 milioni di debito accumulato dalla Fondazione, potrebbe chiudersi entro la settimana. Siena ha incassato un po' più di 200 milioni dalla cessione dei piccoli pacchetti azionari (Cdp, Mediobanca, F2i) e pensa di prenderne altri 80 dalle ultime operazioni (tra cui quella relativa alla quota in Sator). L'8,2% di Banca Mps ha fruttato circa 360 milioni e 200 dovrebbero arrivare dal 5% circa che sarà ceduto nei prossimi giorni.
Con più di 800 milioni disponibili, la Fondazione guidata da Pieri potrà entro aprile (scadenza fissata con le banche creditrici) restituire quasi due terzi del debito (5-600 milioni), ristrutturando a medio termine i rimanenti 3-400 milioni e accantonando circa 200 milioni per assicurare l'operatività dell'ente, cioè le erogazioni al territorio e la gestione ordinaria. In vista di una normalizzazione che, una volta disinnescata la mina del debito, arriverà nei prossimi anni con il ritorno al dividendo di Banca Mps.
Il gruppo di Rocca Salimbeni è alle prese in queste ore con la messa a punto del bilancio 2011, che andrà in consiglio d'amministrazione il 28 marzo e sarà presentato alla comunità finanziaria il giorno successivo, a Milano. L'attesa è per una svalutazione degli avviamenti (6,5 miliardi in bilancio per le controllate Antonveneta e Biverbanca) e una conseguente perdita d'esercizio, sulla scia di quanto già fatto dagli altri grandi gruppi bancari del Paese. In questo modo, Siena risparmierà i 160 milioni di costo annuale sugli 1,9 miliardi di Tremonti bond sottoscritti dal tesoro nel 2009, come previsto dalla particolare natura di questi titoli ibridi.
Intanto il direttore generale della banca senese, Fabrizio Viola, lavora alla riscrittura del piano industriale, che dovrebbe essere pronto per metà maggio, insieme ai conti del primo trimestre dell'anno, quando alla presidenza del Montepaschi si sarà già insediato Alessandro Profumo (l'assemblea è in programma il 27 di aprile). Il gruppo, a quel punto, avrà svoltato definitivamente.
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