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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2012 alle ore 08:21.
MILANO
Bisogna riannodare i fili di una rete intricata tra l'Italia e Panama, il Liechtenstein e le Isole vergini britanniche per farsi un'idea di dove potrebbe approdare l'inchiesta della procura di Milano su Salvatore Ligresti. Dubbi e perplessità sulla gestione delle società del finanziere siciliano spingono il sostituto procuratore Luigi Orsi a indagare a 360 gradi: non solo sull'ostacolo alle autorità di vigilanza, reato per il quale Ligresti è stato iscritto nel registro degli indagati lo scorso luglio, ma anche sulle ipotesi di aggiotaggio, insider trading, falso in bilancio e appropriazione indebita. Con la possibilità, estrema, della bancarotta se dall'inchiesta dovessero emergere elementi di maggiore gravità. Il fronte, ieri, si è allargato ancora. Orsi ha ascoltato in qualità di persona informata dei fatti il vicedirettore generale dell'Isvap, Flavia Mazzarella. Dubbi e perplessità, a quanto sembra, sarebbero sorti anche sull'attività di controllo dell'Isvap, soprattutto alla luce degli episodi emersi nella relazione dei sindaci di Fondiaria-Sai in risposta alla denuncia formulata dal fondo Amber sulla gestione della compagnia. In realtà, i rilievi mossi da Amber sulle operazioni con le parti correlate effettuate da Fonsai e Milano Assicurazioni prenderebbero spunto anche dalle conclusioni delle due ispezioni Isvap nel 2010, che sono poi confluite in parte nel prospetto informativo sull'aumento di capitale 2011. In procura si è presentato anche l'avvocato Giuseppe Iannaccone, legale di Ge Capital, tra i creditori di Premafin. È noto che il fondo propende per un controllo giudiziario sulla ristrutturazione del debito delle società di Ligresti applicando l'articolo 182 bis della legge fallimentare.
Le indagini della Consob su Premafin sono giunte alla conclusione che tra il 2009 e il 2010 l'andamento dei titoli della finanziaria sarebbe stato manipolato. E che le azioni sarebbero state sostenute in borsa anche nel 2011. Da chi? La Commissione sarebbe convinta che un ruolo nei movimenti anomali del titolo lo avrebbero avuto i trust offshore riconducibili allo stesso Ligresti. Tra gli attuali azionisti rilevanti di Premafin figurano infatti due trust domiciliati alle Bahamas: l'Heritage trust con il 12,14% e l'Ever green security trust con il 7,84%.
A febbraio la Consob diffuse un comunicato in cui rivelava che dal 1993 al 2003 Ligresti è stato il beneficiario unico del trust Mapam, che deteneva circa l'8,6% delle azioni Premafin. Nel trust erano confluiti alcuni titoli di proprietà dell'ingegnere siciliano quando nel 1993 aveva annunciato di aver ridotto la partecipazione in Premafin dal 74,52% al 50,01%. Il pacchetto venne poi trasferito (tra il 2003 e la fine del 2005) ad altri due trust panamensi: prima al Silver spring trust e poi all'Heritage trust, gestito dal fiduciario di Montecarlo, Giancarlo De Filippo. L'Heritage controlla la sua quota in Premafin attraverso 12 società con sede nei paradisi fiscali, cinque delle quali (domiciliate in Liechtenstein, Panama e Isole vergini britanniche) erano di proprietà del Mapam. Le indagini hanno anche appurato che Mapam è stato il settlor dell'Ever green security trust, cioé lo ha istituito e vi ha conferito i suoi beni.
Cosa sospettano dunque gli investigatori, sui cui tavoli è arrivata la relazione della Consob? Che il titolo sia stato manovrato occultamente dai fondi riconducibili a Ligresti in un momento in cui si stava realizzando un piano di ristrutturazione dei debiti. Dal bilancio consolidato 2010 di Sinergia risulta che la holding che controlla le altre società della galassia Ligresti aveva debiti verso le banche garantiti da azioni Premafin (e in parte da quote del fondo immobiliare "Uno fondo sviluppo") per circa 105,5 milioni di euro.
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