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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2012 alle ore 08:15.

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Ci mettono tutta la mattinata i mercati finanziari europei per capire che c'è una novità nella crisi dei debiti sovrani europei: la Bundesbank per la prima volta e timidamente ammette che è disposta a tollerare un'inflazione tedesca un po' più alta degli obiettivi fissati. Quanto più alta, non si capisce chiaramente: forse qualche decimale in più. Ma le successive parole di Wolfgang Schaeuble, ministro delle finanze tedesco e discepolo dell'ex cancelliere Helmut Kohl, secondo il quale potrebbe essere accettabile anche un'inflazione al 3%, non lasciano dubbio che qualcosa stia cambiando nella rigida concezione monetaria della banca centrale e del governo tedesco. Una relativa maggiore inflazione in Germania (come si potrebbe ipotizzare dall'aumento dei salari) significa rendere un po' meno competitivi i prodotti tedeschi a vantaggio di quelli dei Paesi periferici che hanno visto nel decennio peggiorare sensibilmente la loro bilancia commerciale. Una relativa maggiore inflazione andrebbe nella direzione di limare gli squilibri in buona parte provocati da una unione monetaria che prescinde dalle diverse politiche ed economie nazionali.

Più che il salvataggio, ossia la nazionalizzazione della spagnola Bankia, parrebbe essere questa la notizia che ha risollevato l'umore dei mercati europei, i quali fino a poco prima di mezzogiorno mostravano perdite vicine all'1%. Di certo, prima che nelle sale operative dei broker, la notizia aveva suscitato curiosità e commenti tra una ventina dei più importanti gestori di hedge fund mondiali al tradizionale incontro milanese organizzato da Vitruvius Sicav e Banca del Ceresio. Per Mattia Nocera (Belgrave C. M.), questa parziale apertura della Bundesbank sarebbe un ulteriore tassello che conforterebbe la tesi di una svolta nell'atteggiamento delle autorità politiche e monetarie della zona euro per tentare di fronteggiare la crisi.

Più cauto (forse perché più rassegnato) è Franco Bruni, docente di economia monetaria alla Bocconi, che nelle dichiarazioni della Bundesbank vede più un segnale di realismo (accettare che crescano i salari tedeschi) che un vero cambiamento politico. Ma lo stesso Bruni ammette che questa apertura potrebbe preludere a una «minore ossessione» da parte delle autorità monetarie e politiche tedesche nell'ostacolare tutte le forme d'intervento finora proposte (rafforzamento del fondo Efsf, acquisto di bond governativi, emissione di project bond e di euro bond).

Se davvero questo è un segnale di ottimismo lo si capirà nei vertici europei fissati per fine maggio e giugno, dai quali ci si aspetta finalmente qualcosa di rilevante, dopo l'immobilismo mostrato negli ultimi due mesi dai politici dell'area euro e della Germania in particolare. Qualcosa di nuovo o, comunque, di sensibile dovrà uscire da quei vertici, anche perché è la credibilità del sistema euro che è uscita distrutta da quest'ultima fase della crisi. Quel che s'è visto finora sui mercati potrebbe essere solo il preludio di una debacle più grave se non si trova qualche rimedio.

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