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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2012 alle ore 08:19.

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Al tradizionale incontro milanese organizzato dalla Banca del Ceresio, c'erano anche quest'anno alcuni nomi famosi nel mondo dei grandi hedge fund mondiali. Il tema iniziale («Usa contro Europa») s'è chiuso con uno schiacciante favore verso le attività finanziarie d'Oltreoceano, quanto meno rispetto a quelle dei Paesi della zona euro. Il risultato non è affatto sorprendente, visto quanto sta accadendo da noi. Quel che stupisce è l'apparente mancanza d'interesse, se non addirittura il tono di scherno, verso la Bce, il sistema bancario dell'Eurozona e soprattutto i politici che governano i diversi Paesi. Nello scenario degli investimenti internazionali, la zona euro sembra non essere presa in alcuna considerazione, a parte qualche nome eccellente tra le società non finanziarie quotate. Di titoli di Stato non si parla nemmeno: nè di Bund, nè di Btp. Nei portafogli dei grandi investitori anglosassoni non ce n'è più uno e, siccome le cose diventano sempre più ingarbugliate, i bond governativi della zona euro non sembrano meritare nemmeno più l'attenzione di qualche vendita allo scoperto.
A noi invece interessano moltissimo, così come i titoli delle banche. Non necessariamente per capire se è il momento di investire in questi strumenti, quanto per poter prevedere una schiarita in una crisi che s'avvita sempre più su sè stessa. In fin dei conti, il comportamento di due terzi dei titoli quotati a Francoforte o Parigi e della grandissima parte tra quelli di Piazza Affari dipende dall'evoluzione della crisi dell'euro e da una recessione che dalla questa è stata in larga misura generata. A sentire Crispin Odey (Odey A.M.), che fino allo scorso anno aveva puntato sulle banche europee, ritenendole relativamente sottovalutate, non è il caso di investire sul credito. Il margine d'interesse (netto) dei maggiori istituti europei, compresi alcuni inglesi, è quanto meno la metà di Citi o Jpm e un quarto di Wells Fargo. Non a caso in Europa i prestiti delle banche, a imprese e famiglie, stanno calando verso i minimi del 2009-2010. In America sono invece da due anni in forte recupero.
Se parli con Hugh Hendry, un personaggio talmente consapevole del proprio eclettismo da chiamare Eclectica la società da lui creata e così compiaciuto del proprio provocante anticonformismo da coniare sferzanti immagini, il quadro che si ricava è assai più desolante: Tutta l'Europa è in fallimento, sentenzia, e non si «può nemmeno immaginare quanto le cose vadano male». La responsabilità maggiore è secondo Hendry dei politici. Ma è anche della Bce, sostiene Odley, che non starebbe assicurando i fondi necessari alle banche. Ma se è l'istituzione che pare essersi mossa più di altre in questa crisi, si obietta. No, non fa abbastanza, spiega, anche perché manca un'autorità bancaria comune e il sistema finanziario è un inestricabile intreccio di partecipazioni incrociate, cosicchè il povero Mario Draghi non sa chi dover chiamare per avere un quadro esatto della situazione. In America, invece, Ben Bernanke alza il telefono e parla direttamente con il capo di Jpm, di Bank of America, di Citi, di Wells Fargo o di Us Bancorp. E questo è sufficiente per sapere come stanno le cose e di cosa hanno bisogno i singoli grandi gruppi.
Per fortuna ci rassicura un poco Mattia Nocera (Belgrave C.M.): non è vero che tutti gli investitori anglosassoni siano negativi verso l'Eurozona. Anzi vi sarebbe tra loro un crescente interesse per le attività europee, anche per quelle finanziarie. Qualche segno di miglioramento nell'evoluzione della crisi già lo si coglie, aggiunge: e Nocera lo vede nell'enfasi che i politici ora pongono sulla crescita economica, oltre che sul rigore finanziario, e nel piccolo cambiamento di rotta che pare aver assunto la stessa Bundesbank a riguardo dell'inflazione. Il fatto che la Germania sia adesso disposta ad accettare un aumento dei prezzi un po' più forte di quello dei Paesi periferici è il primo segnale che può portare a correggere gli squilibri economici provocati dalla rigidità del nostro sistema monetario.
In settimana l'S&P s'è visto limare l'1,1% e lo Stoxx lo 0,4% (+0,9% Milano, +0,3% Francoforte, -1% Parigi, -1,4% Londra).
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