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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2012 alle ore 16:37.

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Nell'elenco c'erano anche Alberto Cribiore e Roland Berger. Però in pochi ne hanno avuta la certezza, perché la lista dei cinquanta candidati alla presidenza di UniCredit è stata custodita nella più assoluta confidenzialità da Vincenzo Calandra fino alla mattina di giovedì 12 aprile, quando a Milano erano convocati i grandi azionisti di Piazza Cordusio e i papabili in corsa erano rimasti in quattro.

Nel processo di selezione che lo ha visto vincitore c'è una delle novità più rilevanti che si porta dietro il neo presidente di UniCredit. E, di fatto, uno dei suoi punti di forza: Vita approda in Piazza Cordusio non da candidato di questo o quell'azionista, ma come il risultato di un lungo confronto condotto dagli stakeholder della banca prima sul profilo ideale e poi, in un secondo tempo, sui nomi. Certo, da Fondazione Cariverona era trapelato un particolare apprezzamento per questo manager italiano così popolare in Germania, però Vita non può definirsi il candidato di Paolo Biasi. Nero su bianco, approvati dal Comitato governance il 20 marzo, c'erano gli otto requisiti richiesti per i componenti del nuovo board, e «una volta trovato l'accordo sui requisiti, non avevamo gli elementi per dividerci sul nome», dice uno degli stakeholder più attivi nelle trattative.

Nella maratona negoziale di quel giovedì, cinque ore scandite da due pause caffè e un pranzo veloce alla presenza di Federico Ghizzoni, i soci arabi erano più favorevoli a Massimo Tononi e a Torino – dopo il passo indietro di Fabrizio Palenzona – piaceva l'opzione Gros-Pietro, ma «nessuno si è ostinato su un nome solo, dicendo che l'uno o l'altro era il proprio candidato», racconta un'altra persona. E così, alla fine, ha prevalso Vita: degli otto requisiti ne aveva almeno cinque, e un'intesa a quel punto era alla portata.
E le fondazioni? Il consueto negoziato c'è stato, lungo e a tratti ruvido, ma si è discusso più degli equilibri del nuovo board che del presidente, riguardo al quale le fondazioni hanno fornito a Egon Zehnder una serie di candidature che comunque, si è appreso, già facevano parte della rosa individuata dai consulenti.

Così la società esperta in corporate governance alla fine è riuscita a mettere d'accordo tutti i soci (o almeno a non lasciarne nessuno in palese disaccordo) nel giro di 44 giorni intorno a un nome e cognome pescato "fuori dal mazzo" ma non per questo con il profilo di outsider.
Innovativo per l'Italia ma consolidato all'estero, in queste settimane il "protocollo UniCredit" sta diventando un caso di studio. Soprattutto per chi nei prossimi mesi chiamerà il suo multiforme azionariato a rinnovare i vertici della banca.

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