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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2012 alle ore 09:43.

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Le ricorrenze, a volte, sarebbe meglio non festeggiarle. Esattamente un anno fa, in 80 città spagnole, scendevano in piazza gli indignados con lo slogan «non siamo marionette nelle mani di politici e banchieri». Un anno dopo, mentre gli indignados si preparano a tornare in piazza, i politici spagnoli si trovano costretti a salvare i banchieri per l'ennesima volta. Venerdì il Governo di Madrid ha predisposto un piano in cui, da un lato chiede agli istituti di credito di realizzare 30 miliardi di nuovi accantonamenti e dall'altro prepara la creazione di una bad bank dove trasferire i crediti problematici.

Ma sul mercato sono tutti convinti che non basterà: le banche spagnole avranno bisogno di molto capitale (Rbs stima tra i 68 e i 98 miliardi) e sarà lo Stato a dover mettere le mani al portafoglio. Indignati o non indignati, insomma, il conto alla fine arriverà a loro: i cittadini spagnoli.

Banche zombie
Il punto è che le banche iberiche di problemi ne hanno molti. Il più macroscopico è rappresentato dai crediti erogati negli anni d'oro per finanziare il boom immobiliare. Tutti i casermoni che son spuntati nelle grandi città e fin dentro le spiagge hanno lasciato nei bilanci un'esposizione sul mattone da 323 miliardi di euro. Si tratta del 30% dell'intero Pil spagnolo. Ovvio che appena il mercato immobiliare ha iniziato a frenare, per le banche sono cominciati i dolori. Calcola Barclays che fino a oggi gli accantonamenti per far fronte alle perdite sono ammontati a 110 miliardi di euro. Il problema, all'inizio, è stato tamponato con le fusioni tra banche (si veda grafico a fianco). Ma questo non ha risolto molto: fondere più banche in crisi, significa creare istituti più grandi, ma sempre in crisi.

Infatti, la settimana scorsa in panne è finita Bankia, quarto istituto del Paese, nato nel 2010 proprio dalla fusione di sette casse di risparmio in difficoltà. Lo Stato è intervenuto, convertendo obbligazioni e arrivando a controllare indirettamente il 45% dell'istituto. Ma i problemi non sono affatto finiti. Barclays stima che i prezzi delle case potrebbero scendere di un altro 20-25%, portando il calo complessivo dai massimi al 35-40%. Questo imporrebbe alle banche altri 88 miliardi di euro di perdite. Royal Bank of Scotland stima che serviranno altri 68 miliardi di euro di capitale per coprire il buco, che potrebbero raggiungere i 98 miliardi se la recessione peggiorasse. Insomma: i numeri sono grossi. E la domanda ovvia: chi paga? Chi li mette i soldi?

Dal privato al pubblico
«Non sarà facile per le banche reperire il denaro sul mercato – avverte il responsabile rating statali di Standard & Poor's, Moritz Kraemer –. Quindi lo Stato, anche se non vuole, prima o poi sarà chiamato a fare la sua parte». Infatti già oggi le banche spagnole, come dimostra il grafico a fianco, sono quelle che più dipendono dai finanziamenti agevolati della Bce (al secondo posto ci sono le italiane). E se reperire finanziamenti sul mercato è dura, ancora più difficile sarà raccogliere capitale: se il Santander – stima Rbs – è l'unica banca a non avere bisogno di denari freschi e anche Bbva e Caixabank stanno in piedi, per tutte le altre bisognerà intervenire. Anche perché i crediti al settore immobiliare sono solo una parte del problema: ci sono poi i titoli di Stato, accumulati negli ultimi mesi, e gli effetti della recessione.

Il problema è che lo Stato non può salvarle tutte come anni fa ha fatto l'Irlanda: con 3.600 miliardi di euro di attivi, sono troppo grosse. Le casse pubbliche possono aiutare, ma non da sole. Chi altro possa intervenire è da vedere. Da un lato il mercato, che potrebbe coprire almeno una parte degli aumenti di capitale. Dall'altro potrebbe intervenire il fondo salva-Stati Efsf. Una cosa è certa: gli indignados dovranno mettere mano al portafoglio. Forse non saranno i soli a farlo, ma questa è solo una magra consolazione. (My. L.)

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