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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2012 alle ore 07:01.
Dopo aver chiesto per mesi maggior crescita e minor rigore, i mercati si sarebbero ieri preoccupati per la disfatta della Cdu nelle elezioni del Nord Westfalia. Dopo aver minimizzato, se non addirittura trascurato da tempo, l'impatto del fallimento della Grecia con la conseguente sua uscita dall'euro, i mercati si starebbero adesso angustiando per la sorte del Paese.
E, dopo aver ragionato a lungo sul rallentamento economico in Cina, i mercati si sarebbero allarmati per la decisione della Banca del Popolo di ridurre di 50 miseri centesimi le riserve obbligatorie delle banche. Inoltre, gli investitori si sarebbero incupiti vedendo calare a marzo la produzione in Europa: quando sapevano da almeno due settimane che l'attività manifatturiera era scesa non solo a marzo, ma anche ad aprile. Infine gli operatori hanno additato nei problemi della spagnola Bankia una nuova fonte di rischio, quando 6 giorni fa avevano salutato come una liberazione il salvataggio della banca. Si sono presi a cuore persino i 3 miliardi persi da JP Morgan con i derivati: una sofferenza che vale il 16% dell'utile 2011, il 2% del patrimonio e lo 0,1% dell'attivo della banca Usa.
È difficile dire cosa abbia fatto ieri tracollare le borse europee e fatto volare i rendimenti dei titoli di Stato italiani e spagnoli, visto che tutte le presunte cause indicate dagli operatori non hanno nulla di sorprendente e la sconfitta del partito di Angela Merkel può essere semmai letta come un fattore positivo per la crisi europea.
Può darsi che questo cocktail di notizie abbia avuto un effetto perverso. Ma questo rinnovato attacco alle attività della zona euro era già nell'aria e ieri s'è riproposto con il medesimo copione di vendite, attraverso future sugli indici e panieri di titoli, già visto qualche settimana fa. La scommessa di sempre, il disfacimento dell'euro, è apparsa ieri ancor più forte. Ora i Btp, i Bonos e persino gli Oat francesi più che il rischio default scontano quello d'essere ridenominati nella singole valute nazionali. E pure i Bund tedeschi, all'1,4%, sembrano già espressi in un Deutsche Mark che vale almeno il 50% più della lira.
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