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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2012 alle ore 09:42.

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C'è azzardo e azzardo. Ma quello che si è preso David Choe al momento di presentare il conto a Mark Zuckerberg sette anni fa è di quelli che si ricordano per tutta la vita. L'artista, un giovane graffitaro di Los Angeles, allora 29enne e già con una certa fama, venne chiamato a dipingere i primi uffici di quella che nel 2005 era una semisconosciuta società internet. Il lavoro era pagato decisamente bene – 60mila dollari –, ma lui non volle essere remunerato in contanti, preferì le azioni della neonata Facebook: «Mi piace l'azzardo – ha ricordato qualche mese fa in una delle poche interviste rilasciate, ad Howard Stern – e credevo in Sean Parker (allora presidente di Facebook, ndr), anche se ritenevo ridicolo e senza senso il modello di business della società». A quel tempo non esisteva ancora il bottone "mi piace", non c'era nessun ricavo pubblicitario e neanche si poteva immaginare lontanamente che la società arrivasse a valere 100 miliardi di dollari.

Oggi Choe si prepara a raccogliere i frutti di quella scommessa con la quotazione al Nasdaq del social network e anche la sua storia diventa uno dei record di questa Ipo piena di superlativi: quei 60mila dollari sono lievitati diventando 200 milioni o forse anche più. Una somma che potrebbe fare comunque delle pareti colorate a suon di spray dal giovane di origini coreane l'opera d'arte moderna più pagata di sempre. Secondo fonti interne allora gli venne riconosciuta, in qualità di "advisor", una quota tra lo 0,1 e lo 0,25%, ma non è escluso che sia stata anche superiore. Lo stesso Choe ha ammesso di aver già venduto parte della quota sul mercato secondario: "Ho venduto qualche azione, volevo essere sicuro di portare a casa qualcosa prima che tutto svanisse", ha ammesso a Barbara Walters.

Quel che è certo è che lo stesso Zuckerberg ha saputo dare il giusto valore alla sua opera e quando si è trattato di spostare il quartier generale dalla vecchia sede di Palo Alto a Menlo Park ha voluto che i pannelli fossero smontati e spostati nel nuovo ufficio, dove campeggiano ancora le forme provocatorie e cariche di erotismo cui era ormai affezionato.
La vita di Choe è sempre stata all'insegna degli eccessi. Come nel '92, quando si infilò tra i rivoltosi che stavano mettendo a ferro e fuoco Los Angeles, senza sapere che anche il negozio della sua famiglia coreana in quelle stesse ore era stato dato alle fiamme. Nel 2003, due anni prima del lavoro commissionato da Facebook, conduceva ancora una vita sul filo, finendo in carcere per assegni falsi, furto e percosse a un poliziotto. Ma i graffiti erano il suo rifugio: «Non voglio essere rozzo, ma avrei usato urina e sangue o qualsiasi altra cosa che avrebbe creato un pigmento colorato: dipingere è l'unica cosa che mi fa sentire sano». La pittura di strada con le bombolette era stata d'altra parte la forma con cui a scuola avevano cercato di indirizzare la sua rabbia giovanile, finendo in una classe di arte in cui si trovò a fianco della nipote di Frank Sinatra e del figlio adottivo di Sammy Davis jr. Da allora anche diverso successi, ma lui ha proseguito all'insegna degli eccessi: cacciato dalla scuola d'arte, viene continuamente invitato a parlare nelle università. Chissà se ora verrà anche chiamato a insegnare nelle business school.

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