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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2012 alle ore 08:18.

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«La vicenda desta preoccupazione». Inizia così la lettera inviata l'altroieri dalla Consob (la firma è del segretario generale, Claudio Salini) all'ad di Borsa Italiana, Raffaele Jerusalmi. Missiva breve, appena dieci righe, ma chiara: dopo l'uscita di UniCredit e Intesa dal capitale di London stock exchange, che ne sarà del peso dell'Italia dentro alla società in cui la Borsa tricolore è confluita nel 2007 con tutti i suoi soci ma che ormai per il 95% è posseduta da azionisti stranieri? Preoccupazione vecchia, quella di una progressiva diluizione dell'italianità in Lse, in passato già sposata dalla Consob di Lamberto Cardia e ora di nuovo sollevata all'indomani di una vendita, sottoscritta da Intesa e UniCredit, giustificata da 225 milioni di plusvalenze ma che – fanno notare in Consob – è avvenuta improvvisamente, senza alcun preavviso. Ora che le quote sono finite oltreoceano, alla Consob non resta che accendere un faro e invitare Borsa Italiana a dare «ogni informazione utile per approdare a una valutazione degli effetti sulla governance e le strutture organizzative, nonché sull'assegnazione di incarichi e deleghe all'interno di Lse». In sostanza, l'authority presieduta da Giuseppe Vegas vuole vederci chiaro sulle conseguenze dell'uscita dei grandi soci italiani, con timori sia politici che tecnici, ovvero che oltre a una marginalizzazione della piazza italiana nel gruppo (e nelle nomine) ci possano essere anche ripercussioni pratiche, con lo spostamento oltreconfine di competenze e servizi oggi basati su Milano.
Da Palazzo Mezzanotte bocche cucite. Ma già si lavora alla risposta, che tuttavia nella sostanza non sarà molto diversa da quanto ha detto giovedì il ceo di Lse, Xavier Rolet: dopo aver commentato con una battuta l'operazione conclusa dalle due banche («L'avrei fatto anch'io, il prezzo é salito e hanno venduto per prendere profitto»), ha ricordato che di fatto non è all'ordine del giorno l'eventuale uscita dal board dei due italiani Andrea Munari e Sergio Ermotti, entrati nel cda di Lse nel 2007. Nel gruppo «consiglieri e azionisti sono due cose separate, non c'é connessione tra board e proprietà, sono consiglieri a titolo personale», ha sottolineato giovedì Rolet, facendo capire che Lse è una tipica public company anglosassone, con quella distanza di sicurezza tra azionisti e amministratori che impedisce agli uni di agire direttamente sugli altri. Come emerge da fonti vicine a Palazzo Mezzanotte, Borsa Italiana si prepara ad assicurare alla Consob che anche se sono rimasti solo gli arabi tra gli azionisti di riferimento, nulla è destinato a cambiare nel peso dell'Italia, che peraltro resta decisiva per il suo contributo agli utili di gruppo, dove la Cassa di compensazione e garanzia, la clearing house di Borsa Italiana, nel 2011 ha visto crescere del 147% la revenue garantita dai depositi normalmente overnight delle banche italiane.
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