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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2012 alle ore 17:00.
Otto anni vissuti «alla velocità della luce», come direbbe lui con una delle sue similitudini preferite. Venerdì 1° giugno saranno passati otto anni da quando Sergio Marchionne arrivò ai piani alti del Lingotto, in uno dei momenti più difficili della storia del gruppo torinese - la profonda crisi finanziaria, la morte di Umberto Agnelli e l'allontanamento del precedente amministratore delegato, Giuseppe Morchio.
Prima insieme a Luca di Montezemolo, poi con l'attuale presidente John Elkann, il manager italo-canadese ha cambiato il gruppo più di quanto non si potesse immaginare allora. I risultati sono stati finora positivi per gli azionisti, grazie soprattutto allo scorporo di Fiat Industrial e all'operazione Chrysler: il valore di Fiat spa e Fiat Industrial venerdì era più che raddoppiato rispetto ai 5,73 euro di Fiat il giorno della nomina di Marchionne.
In otto anni il manager ha attuato una rigorosa gestione finanziaria e trasformato il perimetro del gruppo rendendolo più equilibrato geograficamente, anche se più dipendente dal settore auto; l'attività industriale in Italia, soprattutto nella produzione di automobili, è passata attraverso due crisi epocali (quella innescata da Lehman nel 2008 e quella più recente legata alle vicende dell'euro) che hanno portato l'anno scorso alla chiusura dell'impianto di Termini Imerese; Fiat Auto soffre ancora, nella sua parte europea, degli stessi problemi che aveva nel 2004, accentuati dal crollo del mercato ma anche dalla decisione del Lingotto di bloccare a più riprese gli investimenti.
La strada per i prossimi due anni è già in buona parte segnata, sia dal punto di vista industriale - integrazione crescente fra Fiat e Chrysler - che da quello finanziario. Già a luglio Marchionne eserciterà con grande probabilità l'opzione per acquistare dal fondo sanitario Veba il 3,32% di Chrysler, portando così Fiat al 61,8%. Tale opzione sarebbe poi esercitabile anche nei semestri successivi fino al 2016; ma l'evento più probabile - che potrebbe accadere già quest'anno - è l'acquisto in toto della quota restante di Chrysler in mano al Veba (a quel punto il 38,2%) e la successiva fusione con Fiat, con possibile trasferimento della sede principale nel gruppo negli Usa.
Qualche giorno fa Max Warburton della Sanford Bernstein, uno degli analisti più autorevoli della City, ha scritto che «Fiat ha bisogno di Chrysler» e che «è necessaria una mossa per mettere insieme i due business e la loro liquidità». La mossa potrebbe essere, secondo l'analista, appunto l'acquisto della quota di minoranza che potrebbe avvenire - scrive - a un prezzo massimo di 3 miliardi di euro; un prezzo che Fiat potrebbe permettersi, visto che a fine marzo aveva 21,4 miliardi di euro di liquidità disponibile.
Per mettere davvero insieme le due tesorerie c'è però un altro scoglio da superare: le clausole protettive contenute in alcuni dei contratti di finanziamento accesi da Chrysler nel 2011, che impedirebbero o porrebbero seri vincoli al cash pooling. Secondo alcune fonti finanziarie, Marchionne potrebbe permettersi di rimborsare eventualmente anche questi debiti Chrysler (4,3 miliardi di dollari, ovvero 3,4 miliardi di euro al cambio attuale) senza mettere troppo a rischio la posizione finanziaria: gli resterebbero infatti a quel punto ancora 15 miliardi di euro in cassa (21,4 meno 3 meno 3,4). Dall'altro lato, però, c'è chi ricorda che il prezzo dei credit default swap su Fiat (avvicinatosi a quota 1000 in quest'ultimo periodo e salito per quasi tutti gli emittenti) indica timori per la situazione finanziaria; senza contare i rischi legati a una possibile crisi dell'euro. «In queste circostanze, mi terrei la liquidità ben stretta» dice un operatore.
A incentivare un acquisto del 100% di Chrysler in tempi brevi e un eventuale quotazione di Fiat anche a Wall Street giocano altri due fattori. Primo, in caso di ulteriore calo della valuta europea la quota Veba in Chrysler è destinata a costare, in euro, sempre di più. Secondo, Marchionne ha più volte sottolineato i vantaggi che verrebbero dall'accesso a un mercato finanziario liquido ed efficiente come quello Usa; lo spostamento della quotazione (e forse della sede legale) Oltreoceano metterebbe al riparo il gruppo da eventuali convulsioni dei mercati europeo e italiano. Una cosa è certa: se dovesse presentarsi l'occasione, il manager la coglierà alla velocità della luce.
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