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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2012 alle ore 06:41.

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MILANO
«In parziale riforma della sentenza di primo grado». La frase, rituale, pronunciata dal presidente della seconda sezione della Corte d'Appello di Milano Flavio Lapertosa, è suonata ai più come un'ironia involontaria. Più che una «parziale riforma» la sentenza di ieri sul tentativo di scalata alla Bnl è un ribaltamento integrale del giudizio di prima istanza emesso il 31 ottobre scorso dalla prima sezione penale dello stesso tribunale. Gli assolti sono 11, i condannati due: Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti: rispettivamente a un anno e sette mesi e un anno e 6 mesi. Accomunate nella formula dell'insussistenza del fatto, cioè il reato di aggiotaggio manipolativo e informativo (capo A dell'imputazione), le quattro diverse anime dei partecipanti all'operazione Bnl: quella industriale rappresentata da Francesco Gaetano Caltagirone, quella bancaria (e in parte assicurativa) rappresentata da Guido Leoni (Banca popolare dell'Emilia) e da Carlo Cimbri, attuale ad di Unipol, quella dei raider della finanza padana di Emilio Gnutti, Tiberio ed Ettore Lonati e quella degli immobiliaristi da "sbarco" Stefano Ricucci, Danilo Coppola e Giuseppe Statuto. Oltre, naturalmente all'ex governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio anche lui assolto dopo avere subito in prima istanza una condanna a tre anni e sei mesi e al parlamentare Udc Vito Bonsignore, anche lui assolto dopo una condanna a tre anni e sei mesi.
In primo grado il reato di aggiotaggio era stato riconosciuto a tutti gli imputati, «anche se – rammenta Ermen Costabile, legale di Cimbri, – la stessa Consob aveva deciso di non costituirsi parte civile non avendo ravvisato la sua sussistenza, mentre lo aveva fatto per quanto riguardava l'ostacolo alle funzioni di vigilanza». Il capo B riguardava in realtà i soli Consorte, Sacchetti e Cimbri: ed era proprio quello relativo all'ostacolo alle funzioni di vigilanza. Per questo sono stati condannati Consorte e Sacchetti mentre Cimbri è stato assolto per non avere commesso il fatto. Il capo C si riferiva all'insider trading ed era relativo alle telefonate intercorse tra Consorte e gli esponenti del Pd Nicola La Torre e Piero Fassino. Quanto alle società coinvolte nella vicenda, la bresciana Hopa e la Bper, le loro responsabilità penali per la legge 231 del 2001, sono state assorbite dalle assoluzioni dei loro capiazienda e le sanzioni pecuniarie a loro carico sono state revocate. Diversa sorte per Unipol per la quale la sanzione è stata quantificata in 420mila euro. Bocciate su pressoché tutta la linea, dunque, le richieste del sostituto procuratore generale Felice Isnardi che aveva richiesto la conferma integrale delle condanne emesse dalla prima sezione penale del tribunale milanese presieduta da Giovanna Ichino. In mattinata Francesco Gaetano Caltagirone, presente in aula, aveva ribadito la propria estraneità ai fatti aggiungendo a corollario: «Non avrei avuto alcun interesse a favorire Unipol, i nostri interessi e quelli di Unipol erano contrapposti come quelli tra venditore e compratore». Dopo la lettura della sentenza ai volti corrucciati nei corridoi della procura di Milano si sono contrapposti gli abbracci e l'esultanza degli avvocati degli imputati assolti che hanno ribadito, in alcune dichiarazioni rilasciate ai giornalisti, la bontà delle intenzioni di fondo di chi, Fazio in testa, intendeva innanzitutto preservare l'italianità della Bnl, finita poi al gruppo transalpino Bnp Paribas.
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