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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2012 alle ore 06:43.

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Grazie alla rivoluzione dello shale gas, nel giro di cinque anni gli Stati Uniti potrebbero strappare alla Russia il primato della produzione di metano. A prevederlo è l'Agenzia internazionale per l'energia (Aie), che ieri ha presentato il suo primo rapporto di medio termine dedicato esclusivamente al gas.
Grazie alle nuove tecniche estrattive, che consentono di liberare il gas intrappolato nelle rocce, gli Usa nel solo 2011 hanno incrementato l'output del combustibile di una quantità pari alla metà delle forniture annuali del Qatar, oggi il maggiore esportatore mondiale di Gas naturale liquefatto (Gnl). Nonostante il boom abbia depresso i prezzi del combustibile sul mercato nordamericano, facendoli scendere ai minimi da dieci anni, la produzione Usa continua a crescere, osserva l'Aie. Ed entro il 2017 «le prime esportazioni di Gnl potranno vedere la luce, portando un gradito contributo ad un mercato che ci aspettiamo diventi sempre più limitato tra il 2012 e il 2014».
Secondo l'agenzia Ocse, la domanda globale di gas crescerà infatti in media del 2,7% l'anno tra il 2012 e il 2017, un tasso superiore al +2,4% che la stessa Aie prevedeva l'anno scorso per il 2011-2016. Nel complesso, in 5 anni la domanda salirà di 576 miliardi di metri cubi – praticamente l'attuale produzione della Russia – portandosi a 3.900 miliardi di mc. La Cina dovrebbe addirittura raddoppiare il fabbisogno, a 273 miliardi di mc.
Ma gli impianti di liquefazione del gas, che dovrebbero consentire di trasportare più facilmente il combustibile verso i mercati asiatici (non solo la Cina, ma anche il Giappone, che deve supplire al nucleare, e i Paesi del Medio Oriente) almeno in una prima fase non riusciranno a tenere il passo con lo sviluppo della domanda: su 114 miliardi di capacità aggiuntiva in costruzione, solo 25 miliardi arriveranno sul mercato tra il 2012 e il 2013.
Il gas "made in Usa" non sarà comunque una panacea. La produzione è sì in forte crescita – da 653 miliardi di mc nel 2011 a 769 nel 2017, mentre la Russia salirà nello stesso periodo da 659 a 757 miliardi – ma stanno aumentando parecchio anche i consumi interni, al punto che l'Aie intravvede già «la fine di un secolo di dominio del carbone nella generazione elettrica Usa». Inoltre, i prezzi bassi e l'abbondante disponibilità stanno stimolando lo sviluppo di nuove industrie energivore: è di pochi giorni fa la notizia che ExxonMobil vorrebbe costruire un maxi-impianto petrolchimico in Texas.
Da un lato, quindi, l'Aie si aspetta che gli Usa restino comunque importatori netti del combustibile, sia pure per soli 10 miliardi di mc l'anno. Dall'altro, non prevede alcun beneficio per gli europei, che al contrario potrebbero risultare addirittura danneggiati. «L'industria europea deve confrontarsi con prezzi del gas 3-4 volte superiori rispetto agli Usa, che diventano ora un nuovo concorrente in settori come la petrolchimica e la produzione di fertilizzanti».
La possibilità che il Vecchio continente possa seguire il modello americano sono praticamente nulle: in Europa le prospettive di sviluppo dello shale gas sono «sconfortanti», dice l'Aie, principalmente per l'opposizione alle tecniche di fracking. Quanto ai nostri consumi di gas, la previsione è che nel 2017 saranno di 561 miliardi di mc l'anno, appena il 7,9% in più rispetto al 2011 e meno che nel 2010. Effetto della crisi, dei prezzi troppo alti, ma anche di un ricorso sempre più ampio alle energie rinnovabili.
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