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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2012 alle ore 07:28.

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Arriva il salvataggio per le banche spagnole, crollano come birilli quelle italiane. La speculazione non si è presa neppure un giorno di ferie: non appena Madrid ha annunciato l'arrivo (ancora da definire) di 100 miliardi per ricapitalizzare i suoi istituti, la Borsa ha iniziato a picchiare duro le banche più vicine. Cioè quelle italiane: in un giorno che avrebbe dovuto essere di sollievo, UniCredit ha perso l'8,81%, Intesa Sanpaolo il 5,92%, Montepaschi il 5,25%, Mediobanca il 5,64%. Eppure puntare il dito solo sulla speculazione è sbagliato. La verità è che, con la congiuntura in frenata, con crediti sempre più deteriorati e con i bilanci pieni zeppi di titoli di Stato, le banche italiane hanno ormai troppi punti deboli. I nodi sono arrivati al pettine.

Sofferenze e titoli di Stato
Sono in particolare due i nodi ritenuti critici dal mercato. Il primo è il peso dei titoli governativi in pancia alle banche italiane. Oggi BTp, BoT e CcT nei bilanci ammontano a 294 miliardi di euro. A fine novembre del 2011 il loro peso era solo di 209 miliardi. Con i soldi ricevuti dalla Bce, infatti, le banche si sono imbottite di 95 miliardi di titoli del Tesoro italiano, esponendo il proprio bilancio sempre più al rischio-Italia. Ormai detengono di fatto il 20% dei titoli di Stato domestici in circolazione sul mercato. L'operazione è servita a calmierare lo spread contro i titoli tedeschi, ma l'effetto è poi progressivamente svanito e ora gli istituti di credito sono considerati dal mercato dei succedanei del debito pubblico. Insomma: il raffreddore dello Stato diventa una polmonite per le banche.

La giornata di ieri lo dimostra. Gli economisti hanno calcolato che il salvataggio delle banche spagnole costerà caro alle casse pubbliche italiane: dato che Roma contribuisce a circa il 20% del fondo salva-Stati Efsf, se il salvataggio di Madrid arrivasse da questo fondo l'Italia aumenterebbe il suo debito pubblico. Citigroup calcola che, anche a causa della recessione, nel 2014 il rapporto tra debito e Pil potrebbe salire per l'Italia dall'attuale 121% al 137%. E questo, come detto, anche a causa del salvataggio della Spagna. È per questo che ieri, dopo la notizia del pacchetto a favore di Madrid, i BTp sono stati penalizzati.

Ed è per questo che, di riflesso, le banche italiane sono crollate in Borsa: per loro, che sono piene di titoli di Stato, ogni calo dei prezzi dei BTp si traduce in perdite potenziali in bilancio. Eppure la reazione del mercato, pur basata su giustificati motivi, può essere considerata esagerata. La gran parte delle banche ha infatti in bilancio titoli di Stato con scadenze molto brevi, contenute entro i tre anni. Questo mitiga il rischio-Italia. Solo Mps ha strutturalmente un portafoglio dove i titoli sopra i 10-15 anni rappresentano una percentuale rilevante. La fobia da BTp è insomma giustificata solo in questo caso.

Ma per le banche italiane il problema non nasce solo dai BTp. L'altro fronte caldo è quello delle sofferenze: si tratta di crediti di difficile recupero, che continuano ad aumentare a causa della recessione e che ormai gravano sui bilanci bancari per una cifra lorda di 109 miliardi. Si tratta del doppio rispetto al 2009. Quelle sofferenze significano accantonamenti e perdite future da conteggiare nei bilanci. In soldoni, secondo le stime di Barclays Capital, se questi crediti di dubbio recupero registrassero perdite per il 40% del loro valore, le prime quattro banche italiane brucerebbero qualcosa come 36 miliardi di euro. Per dare un'idea, 36 miliardi di future perdite valgono l'intera capitalizzazione di Borsa e un terzo del loro patrimonio complessivo.

Mal comune
In realtà tutti i sistemi bancari europei, non solo quello italiano, sono vulnerabili. AlixPartners recentemente ha stimato per esempio il costo del possibile crollo futuro del mercato immobiliare europeo. Ebbene: se ai valori immobiliari scendessero ad un livello considerato equo, ad essere penalizzate sarebbero soprattutto le banche francesi (che registrerebbero perdite per 140 miliardi) e inglesi (110 miliardi). In Italia, dato che il mercato immobiliare è meno sopravvalutato, le perdite potenziali in caso di frenata immobiliare sarebbero ben inferiori. Idem in Germania.

Ma, guardando i bilanci sotto un'altra angolatura, anche gli istituti tedeschi hanno i loro problemi: un'eccesso di leva finanziaria e bilanci ancora pieni di titoli cosiddetti "tossici". Secondo le ultime analisti di R&S Mediobanca (aggiornate a giugno 2011) gli istituti che ancora devono smaltire quelle obbligazioni illiquide legate a mutui sono quelli inglesi, tedeschi e svizzeri. Credit Suisse a giugno aveva 37miliardi di euro di titoli "tossici": pari al 111% del patrimonio netto. Abbastanza esposta anche la tedesca Deutsche Bank: sebbene oggi abbia la metà dei titoli "tossici" del 2008, ne ha in bilancio comunque 45 miliardi. Cifra pari all'88% del patrimonio netto. Le banche italiane e spagnole, invece, hanno cifre risibili.

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