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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2012 alle ore 06:42.

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MILANO
Si partirà nelle prossime settimane, con misure concrete per aiutare le imprese italiane a contribuire alla ricostruzione del paese. Poi, se nel frattempo sarà avvenuto il tanto atteso «scongelamento» della doppia partecipazione in UniCredit, si potrà pensare a un allargamento del board, chiedendo l'avallo degli azionisti. Infine, si valuteranno eventuali spazi per ulteriori investimenti, dentro e fuori dalla banca.
È così che UniCredit si sta preparando a riaprire la porta ai soci libici, dopo che mercoledì il presidente della Lybian Investment Authority, Mohsen Derregia, ha fatto intendere che – dopo aver chiuso il capitolo-Gheddafi – Tripoli è pronta a seguire in prima persona le sue attività in Italia, a partire dalle partecipazioni strategiche. In realtà, si fa notare da Piazza Cordusio, nei confronti dei due soci libici (oltre al fondo sovrano socio con l'1,8%, c'è anche la Banca centrale, con il doppio) la porta non si è mai chiusa e le comunicazioni non si sono interrotte neanche nel periodo più caldo: attualmente la Libia non ha rappresentanti nel board, è vero, ma il motivo è che quando si è stilata la lista per le candidature, a metà aprile, a Tripoli le priorità erano ben altre. Con questa premessa, la visita in Italia di Derregia con relative dichiarazioni («Intendiamo mantenere la nostra quota nella banca, se possibile la aumenteremo») è stata accolta positivamente, come una conferma degli ottimi rapporti tra le due sponde del Mediterraneo. Se Derregia non ha potuto incontrare Giuseppe Vita, in questi giorni fuori Italia, né Federico Ghizzoni, mercoledì impegnato all'Abi, è stato solo per motivi di agenda, ma con il vice dg Paolo Fiorentino è stato lungo e cordiale.
Nel colloquio si è parlato del ruolo che UniCredit intende avere nel sostegno alle imprese italiane interessate a lavorare nella ricostruzione libica, mentre non si è fatto cenno alla richiesta di Derregia di avere un rappresentante nel board. Prima c'è da aspettare lo scongelamento delle due partecipazioni, una scelta che non dipende dalla banca (tocca al tribunale dell'Aja) e che, stando a fonti diplomatiche, potrebbe arrivare non prima dell'autunno inoltrato, ma intanto in Piazza Cordusio si inizia a ragionare su come potrebbe essere accontentata la compagine libica, che con il suo 5% abbondante pesa più delle grandi fondazioni (a cui sono andati due consiglieri o una poltrona "pesante" come quella del vicario, assegnata a CariVerona) e non molto meno del Fondo Aabar, che con il 6,5% ha ottenuto una vice presidenza più un altro consigliere.
Gli equilibri trovati dentro al board tra azionisti italiani e stranieri sono intoccabili, per questo si sta facendo largo l'ipotesi di un allargamento del board, che potrebbe salire dagli attuali 19 a 21 componenti; sì, perché se i libici sembrano disposti ad accontentarsi di un posto solo, arrivando a quota 20 occorrerebbe comunque inserire un altro indipendente, con la salita obbligatoria a 21. Un'operazione, questa, che va avallata dai soci e che dunque potrebbe essere sottoposta loro durante l'assemblea 2013. A meno che, si ragiona a Piazza Cordusio, lo scongelamento delle quote dovesse arrivare più in fretta del previsto e i libici tornassero a farsi avanti con denaro fresco pronto per nuovi investimenti: in questo caso, si potrebbe anche valutare l'ipotesi di un'assemblea straordinaria.
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