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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2012 alle ore 06:41.
TORINO. Dal nostro inviato
Gli amministratori di FonSai continuano a mantenere la «barra dritta» per eseguire gli aumenti di capitale, come stabilito, entro luglio. Ma, di fronte alla clamorosa iniziativa del custode giudiziario dei trust Premafin di rifare l'assemblea sull'aumento di capitale (400 milioni) con l'obiettivo di rimettere in discussione il piano di risanamento sottoscritto con Unipol, la compagnia bolognese sta meditando anche le ipotesi più estreme. Come quella di ritirarsi dall'operazione chiedendo il risarcimento dei danni subiti. E intanto, mentre la Consob prende tempo sulla sua definitiva pronuncia sull'Opa, Sator e Palladio preannunciano una nuova offerta. E Premafin ha convocato per venerdì un cda per deciderà il da farsi.
La lettera inviata martedì a Premafin da Alessandro Della Chà, custode del 20% dei titoli della holding sequestrati ai due trust riconducibili alla famiglia Ligresti, ha avuto l'effetto di scompaginare le tessere del mosaico faticosamente costruito negli ultimi quattro mesi. L'assemblea della holding che ha varato l'aumento di capitale riservato ad Unipol - ha spiegato Della Chà - «non consta sia stata posta nelle condizioni di effettuare una comparazione» anche con l'offerta alternativa di Sator e Palladio. Il nuovo meeting, richiesto in base alla norma del codice civile (art.2367) che ne consente la convocazione anche agli azionsiti con più del 10% del capitale, avrebbe all'ordine del giorno il «riesame e l'eventuale revoca» della delibera iniziale nella quale peraltro potrebbero configurarsi «profili di invalidità». In attesa della nuova pronuncia il custode ha intanto «suggerito» di non procedere con l'aumento di capitale già concordato. Che accadrà ora?
«Dobbiamo mantenere la barra dritta con l'ipotesi di effettuare l'aumento di capitale entro luglio», ha sottolineato il direttore generale di Fonsai Piergiogio Peluso all'assemblea che ieri ha reiterato la delibera sull'aumento di capitale da 1,1 miliardi della compagnia. Se i tempi, per via della nuova iniziativa, dovessero slittare – ha aggiunto l'ad Emanuele Erbetta - «dovremo muoverci nel cercare alternative». Un fatto, però, è certo. Una nuova assemblea Premafin potrebbe svolgersi non prima di un mese. E pertanto trascorrerebbe invano il termine del 20 luglio contenuto nell'accordo Premafin-Unipol per eseguire le pattuizioni stabilite. E che le banche creditrici della holding, in caso contrario, considerano vincolante per l'escussione dei pegni sulle azioni Fonsai (il 35% del capitale sociale) dati a garanzia dei loro finanziamenti.
In questo contesto, appunto, sono tornati alla carica i fondi Sator e Palladio che, intervenendo ieri all'assemblea di Fonsai, hanno preannunciato una nuova offerta (non è chiaro se rivolta a Premafin o a Fonsai) oltre che un ricorso al Tar contro la delibera dell'Isvap che ha autorizzato il matrimonio Unipol-Fonsai. Ieri Unipol ha taciuto ma nelle prossime ore farà sentire la sua voce. Negli ambienti della compagnia bolognese c'è sconcerto per quanto sta accadendo e non si escludono addirittura iniziative clamorose come quella di ritirarsi dal progetto.
Nelle prossime ore, comunque, la decisione sarà nelle mani di Premafin che ha chiesto a Della Chà di inviare in tempo per il cda una relazione con le motivazioni della sua richiesta. Il board deve innanzitutto decidere se questa è ammissibile. Per essere considerata tale - stabilisce il codice civile – la richiesta di convocazione dell'assemblea deve riguardare delibere per le quali non sia prevista una relazione degli amministratori. A quanto risulta non esistono precedenti in materia. Stabilita l'ammissibilità l'esito di un simile meeting non sarebbe scontato visto che, per deliberare, dovrà essere raggiunta una maggioranza del 50% del capitale in una società dove, oltre il 20% del custode, i Ligresti mantengono una quota del 30% e il curatore fallimentare di Imco e Sinergia un altro 20 per cento. Se, infine, il custode riuscisse nell'intento di revocare l'iniziale delibera di Premafin, l'eventuale escussione dei pegni da parte delle banche porterebbe al fallimento della società contro i suoi propositi di «migliore valorizzazione».
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