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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2012 alle ore 11:11.
Mentre i 28mila correntisti di Banca Network (e i 69 dipendenti) attendono con impazienza l'esito dell'istruttoria di Banca d'Italia (che dal 31 maggio ha congelato la liquidità in conto corrente ma non i prodotti finanziari) i soci fanno chiarezza. Soprattutto Sopaf, la finanziaria dei fratelli Magnoni che detiene circa il 15% di Bni in presa diretta e un restante 30% in via indiretta attraverso la scatola Petunia (dove c'è anche il il gruppo assicurativo britannico Aviva) che ha il 49,99% di Bni.
Come già ricordato dal Sole 24 Ore la storia di Bni va divisa in due. Nel 2003 l'istituto nasce da Bipielle Net, un ramo della Banca popolare di Lodi di Giampiero Fioriani. Il modello di business è stato focalizzato sull'attività dei promotori finanziari. La seconda, dal 2007, quando la proprietà passa ad altri soci che oltre a Sopaf tra i quali oltre a Sopaf e Aviva, figurano altri grandi investitori: De Agostini (15%) e lo stessa Banco popolare (19,9%).
L'istituto dallo scorso novembre è in amministrazione controllata. La Banca d'Italia ha nominato quali commissari straordinari il dottor Giuseppe Bonsignore e il professor avvoccato Raffaele Lener.
I problemi dell'istituto sono iniziati nel 2009 quando è partita una serie di vertenze sia da parte di alcuni promotori che da clienti. Nell'ottobre 2009 Banca d'Italia aveva effettuato prime ispezioni rivelando «carenze nell'organizzazione dell'istituto e nei controlli interni» e multando l'istituto per 153mila euro.
Nel mirino in particolare anche polizze e titoli strutturati garantiti da Lehman Brothers. Prodotti che dopo il fallimento della banca statunitense (settembre 2008) si sono trasformati in molti casi carta straccia generando contestazioni nei confronti dei promotori che le avevano piazzate.
«Questo è un punto in cui bisogna fare chiarezza - spiega al Sole 24 Ore Giorgio Magnoni di Sopaf -. La Bni non ha mai distribuito polizze agganciate a Lehman Brothers. Si tratta di prodotti collocati prima del 2007 dalla gestione precedente da Bipielle previdenza assicurativa, società di brokeraggio assicurativo posseduta dall'allora Bipielle, che ha collocato polizze Aviva con sottostante dei titoli strutturati garantiti da Lehman. Bni ha ereditato questa situazione e ha contribuito al risarcimento dei danni per gran parte della clientela».
Sopaf, l'ultimo fra i soci a rafforzare il capitale di Bni con un versamento da 2,5 milioni di euro nell'estate del 2011, ha perso sinora dall'investimento in Bni circa 130 milioni di euro. Come per il gruppo De Agostini si è trattato di un investimento in una logica da private equity, atta a creare valore attraverso una logica di aggregrazioni. «Strategia saltata dopo il fallimento di Lehman. Diverso invece l'approcio di Aviva e Banco popolare, fondato su rapporti e interessi precostituiti».
Come diverso, tengono a precisare in Sopaf, il potere dei soci nel consiglio di amministrazione. «Il controllo nel veicolo Petunia è in capo ad Aviva - continua Magnoni -. Per questo motivo difatti la nostra quota gestionale si riudce al 14,9%. Secondo i patti parasociali del 2007, per la nomina del consiglio di amministrazione, Aviva ha la facoltà di designare 3 consiglieri (tramite Petunia), Banco popolare 2, Sopaf 2 e De Agostini 1. L'amministratore delegato era nominato di comune accordo tra le parti.».
Anche quello di una governance non agevole probabilmente ha contribuito a far precipitare il modello di business dell'istituto che, a quanto risulta, potrebbe anche finire in liquidazione coatta amministrativa (atto della Banca d'Italia che sbloccherebbe il rimborso ai correntisti da parte del Fondo di tutela dei depositi).
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