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Questo articolo è stato pubblicato il 07 luglio 2012 alle ore 08:53.

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Una settimana. Tanto è durato l'effetto benefico dell'eurosummit di Bruxelles sui mercati. Perchè ieri gli spread e i rendimenti dei titoli di Stato periferici sono tornati agli stessi livelli di giovedì scorso, vigilia dell'appuntamento che ha segnato - almeno sulla carta - un punto di "svolta" nella costruzione dell'unione finanziaria del Vecchio Continente.

Il differenziale tra i BTp e i Bund a 10 anni, ad esempio, è salito nel finale fino a quota 471 punti base, contro i 469 punti di giovedì 28 giugno. Ancora peggio è andata ai Bonos spagnoli, il cui tasso decennale si è allargato del 5,63% oltre quello dei Bund. La forbice era pari al 5,42% la settimana precedente. Di pari passo si sono mossi i rendimenti assoluti: i saggi dei Buoni decennali italiani ieri hanno raggiunto il 6,03%, quelli iberici sono tornati a sfiorare la soglia d'allarme del 7%.

Un po' meglio, ma neppure troppo, si sono comportate le borse. Milano ad esempio, che ieri è caduta del 2,53%, ha chiuso la settimana a 14.088 punti, poco sopra i 13.391 del pre-vertice. Ma in ribasso hanno chiuso tutte le piazze europee: Parigi ieri ha lasciato sul terreno l'1,88%, Francoforte l'1,92%, Madrid il 3,1%. Un indicatore ancor più chiaro del giudizio emesso dagli operatori nei confronti del vertice di Bruxelles è l'andamento del cambio euro/dollaro. Dopo un fugace rally, oltre quota 1,26 nella giornata di lunedì, la moneta unica si è repentinamente indebolita nei confronti del biglietto verde. Tanto che ieri è caduta a quota 1,22, atterrando ai minimi dal 30 giugno 2010. Una flessione che è sintomatica dell'imponente flusso in uscita dall'area euro degli investitori mondiali.

I dati sull'occupazione Usa
Ma come si spiega questa ondata di vendite sugli attivi quotati nella valuta europea? Il motivo è sempre uno solo, e si chiama sfiducia. Se guardiamo alla giornata di ieri, i motivi di scoramento venivano soprattutto da due fronti. Il primo era il dato sull'occupazione americana. L'economia a stelle e strisce in giugno ha creato 80.000 posti di lavoro, meno dei 100mila attesi. Il dato è negativo. Ma non troppo. Ed è proprio questo il problema: i mercati paradossalmente confidavano in un trend occupazionale così anemico da giustificare un nuovo intervento monetario della Federal Reserve, ossia un terzo quantitative easing. Che difficilmente, a questo punto, ci sarà almeno nel breve periodo. Ecco dunque perchè i listini, anche a Wall Street (S&P 500 in frenata dello 0,9%, Nasdaq dell'1,3%), sono stati contagiati dal pessimismo: senza liquidità, è il ragionamento degli operatori, ai mercati verrebbe meno qualsiasi supporto.

Soprattutto in considerazione del fatto che lo scenario macro-economico rimane deprimente. E qua interviene il secondo elemento di pessimismo: il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ieri ha affermato che l'economia mondiale sta peggiorando e la crisi è diventata negli ultimi mesi «più preoccupante». All'indomani del monito lanciato dal presidente della Bce Mario Draghi, il numero uno del Fmi ha così messo benzina sul fuoco dei timori di un avvitamento della crisi economica, annunciando peraltro che le prossime stime del Fondo, che saranno diffuse il 16 luglio, «saranno riviste al ribasso» rispetto a quelle pubblicate solo tre mesi fa.

Che cosa non convince
Dietro alle ragioni di giornata, tuttavia, ci sono le motivazioni di scenario. E lo scenario è incerto, nonostante gli innegabili progressi europei. Dopo un iniziale entusiasmo (basti ricordare che venerdì Milano è balzata in una seduta del 6,6%), sono spuntati i dubbi sulla effettiva solidità del piano salva-euro varato a fine giugno. Un po' perchè si temono tempi lunghi per la creazione di un'unione bancaria cui è subordinato l'utilizzo del fondo Esm. E un po' perchè non si capisce se la potenza di fuoco dell'Esm (solo in teoria 500 miliardi) sia sufficiente a ricapitalizzare le banche europee in difficoltà e calmierare i rendimenti dei titoli di Stato periferici.

Che la strada verso l'implementazione del piano sia in salita è chiaro a tutti: dopo il no di Olanda e Finlandia allo scudo salva-spread, ieri il governo di Berlino ha gelato le attese rispetto alla ricapitalizzazione delle banche iberiche, affermando che i ministri delle Finanze della zona Euro, al contrario delle previsioni, non concorderanno i dettagli del salvataggio nel corso della riunione dell'Eurogruppo di lunedì. Per i mercati è stata una vera doccia fredda. Un po' come quando si è saputo che la Finlandia ha addirittura minacciato di abbandonare l'euro, pur di evitare di sobbarcarsi i debiti pubblici degli altri paesi.

«La Finlandia non resterà legata all'euro a qualsiasi costo - ha detto il ministro delle Finanze Jutta Urpilaine - e ci prepariamo a tutti gli scenari possibili». Provocazioni a parte, è il segnale che all'interno dell'Unione monetaria la visione sull'uscita dalla crisi non è certo unitaria. Ed è proprio questa disarmonia che gli investitori, e non solo loro, temono. «Se l'Unione monetaria si spaccasse, ci sarebbe da temere con grandi probabilità una catastrofe economica per la Germania, per l'Europa e per l'intera economia mondiale», ha dichiarato il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble. Un modo come un altro, insomma, per mettere le mani avanti. Ed evitare il peggio.

luca.davi@ilsole24ore.com

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