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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2012 alle ore 09:32.

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La scossa era arrivata giusto un mese fa, quando il governo tecnico, dentro il decreto sviluppo, aveva inserito di forza le dismissioni dei cespiti del patrimonio pubblico, capitolo fino ad allora rimasto al palo.

Con nuovi strumenti - i tre fondi gestiti da Mef e Cdp - che iniziano a dare forma ad un'iniziativa troppe volte evocata e altrettante rinviata o dimenticata, ma di certo necessaria. Ora più che mai. Privatizzare il patrimonio immobiliare pubblico - statale e non - e le aziende controllate dagli enti locali è un punto non eludibile del programma di risanamento, e soprattutto l'unica strada percorribile per abbattere con decisione il debito pubblico senza aumentare la pressione fiscale. Se gli strumenti messi in campo da Monti e Grilli possono risultare efficaci, di certo le cifre di cui si parla non sono imponenti, visto anche la montagna di debito che grava sull'Italia, quasi 2mila miliardi di euro.

Dagli immobili si stimano 2,5 miliardi, più uno per il trasferimento di quote di spa locali in bonis. A cui si aggiungono i 10 miliardi che andranno al Tesoro per la cessione alla Cassa di Sace, Fintecna e Simest, somma che sarà anticipata al 60% e sarà utilizzata per il riacquisto di titoli in circolazione e in parte per saldare i debiti della Pa verso le aziende. Quelle sugli immobili sono operazioni che richiederanno tempi più lunghi: è quindi sulla cessione delle quote di società partecipate che arriverà il primo mini-taglio del debito. Una goccia nel mare, viene da dire guardando le quantità, ma di certo un primo passo necessario quantomeno per dare un segnale a quei mercati che non si distraggono un attimo nel mettere sotto pressione il sistema-paese (e in questo supportati non poco dalle agenzie di rating).

Dieci miliardi - poco meno di un terzo dell'importo lordo del salva-Italia - che rischiano tuttavia di essere vanificati proprio dal caro-spread, visto che agli attuali livelli tanto costa l'aumento della spesa per interessi, che punta al livello monstre di 90 miliardi annui. Nell'altra grande crisi finanziaria - ricorrono giusto 20 anni dall'estate di fuoco del 1992 - furono varati inasprimenti fiscali, riforme strutturali, colossali tagli di spesa e annunciate (e poi realizzate) grosse privatizzazioni. A partire dal Credito Italiano e dal Nuovo Pignone: un'azione, questa delle cessioni di asset statali, ritenuta impensabile fino ad allora, che risultò decisiva per le casse pubbliche ma soprattutto per la percezione dei mercati, convinti che l'Italia aveva imboccato una strada nuova nella gestione delle finanze pubbliche.

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