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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2012 alle ore 09:32.

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ROMA - Nello scenario migliore, tra il 27 ottobre e il 7 novembre nel fondo di ammortamento per la riduzione del debito pubblico, gestito dal Tesoro, confluiranno tra i 4 e i 6 miliardi. Sarà la Cassa depositi e prestiti a rifornire questo fondo, che ha come unico scopo il rimborso o il ritiro dal mercato dei titoli di Stato. Se la Cdp, come nelle attese, utilizzerà totalmente l'opzione di acquisto di Sace, Fintecna e Simest, dovrà versare al Tesoro un anticipo pari il 60% del valore del patrimonio netto contabile delle tre società stimato attorno ai 10 miliardi. Dovrà farlo passati 120 giorni dalla pubblicazione del 27 giugno del decreto legge sulla dismissione del patrimonio immobiliare. Il versamento dovrà avvenire entro 10 giorni dall'esercizio dell'opzione ma quanto sarà destinato al fondo di ammortamento è incerto: il dicastero di via XX Settembre si è riservato la facoltà di decidere se trasferire l'intero importo anticipato, pari a 6 miliardi, nel fondo di ammortamento oppure tenerne una parte, fino al 40%, per pagare i crediti vantati nei confronti della Pa dalle imprese (per legge gli incassi da privatizzazioni non posso finanziare il deficit ma devono servire esclusivamente ad abbattere il debito).

Questa operazione targata Cdp è emblematica: l'intero incasso dalla pseudo-privatizzazione di Sace, Fintecna e Simest, che per i conti pubblici del 2012 non supererà i 6 miliardi, basterà appena per neutralizzare l'impatto negativo sul debito del pagamento delle due quote di capitale paid-in per lanciare il fondo di stabilità europeo Esm, a carico dell'Italia per un esborso totale di 5,6 miliardi. Il contributo all'Esm viene finanziato infatti tramite emissione di titoli di Stato a medio lungo termine, con conseguente aumento del debito pubblico.

La "maxi-privatizzazione" di quest'anno dunque non scalfirà la mole del debito pubblico che lo scorso aprile, ultimo dato ufficiale, ammontava a 1.948,5 miliardi. Sul fronte della dismissione degli immobili pubblici, l'altro capitolo che genera grandi aspettative per l'abbattimento del debito pubblico, le cifre d'avvio del processo di alienazione sotto il Governo Monti sono addirittura inferiori a quelle delle privatizzazioni. Il piano cosiddetto "Grilli-Scalera" (ministro dell'Economia il primo, direttore dell'Agenzia del Demanio il secondo) prevede l'istituzione di un maxi-fondo per la gestione dei migliori beni dello Stato centrale e degli enti locali: si partirà con 350 cespiti per un valore inventariale di 1,5 miliardi, una dote che se tutto andrà bene potrà triplicarsi.

Il fatto che le partecipazioni azionarie possedute dal Tesoro e gli immobili del patrimonio pubblico siano messi in vendita, anche per piccole quantità, è stato salutato molto favorevolmente dai mercati e visto come l'inizio di un processo che potrebbe portare a un taglio incisivo dello stock del debito pubblico. Il Credit Suisse, in una recente analisi dedicata all'Italia, ha commentato: «La vendita di asset potrebbe contribuire alla riduzione del debito. Il Governo Monti ha già approvato un decreto che trasferisce 10 miliardi di azioni alla Cassa depositi e prestiti e altre decisioni in questa direzione potrebbero essere annunciate nei prossimi mesi e nei prossimi anni. L'operazione Cdp è apripista, perché il patrimonio dello Stato italiano che può essere alienato è molto ricco, soprattutto nel settore immobiliare». Ma fonti del Tesoro preferiscono attenuare le aspettative dei mercati: non sono allo studio operazioni faraoniche di dismissioni, nell'immediato, perché i prezzi del mercato azionario e immobiliare sono bassi e nessun Governo vuole passare alla storia per aver svenduto il patrimonio dello Stato, che è poi quello dei cittadini italiani. Anche le agenzie di rating considerano le vendite di asset pubblici "credit positive", perché riducono lo stock del debito pubblico e quindi vanno a sostegno del rating. «Tutte le misure che si aggiungono alle riforme strutturali e che migliorano il rapporto debito/Pil hanno un impatto positivo sul rating», ha ribadito ieri Moody's, che nel declassare l'Italia è tornata a porre l'accento sul debito pubblico italiano che resta troppo elevato rispetto a un Pil che non cresce.

Di calcoli sul valore di mercato del patrimonio dello Stato ne sono stati fatti tanti, negli anni: tutti gli attivi principali, vendibili e non, superavano nel 2004 i 1.800 miliardi (escluse le riserve auree che sono intoccabili perché detenute dalla Banca d'Italia e dall'Eurosistema). Realisticamente, dalle dismissioni immobiliari e dalle privatizzazioni delle società quotate e non quotate, nella migliore delle ipotesi il Tesoro potrebbe ricavare fino a 200 miliardi di euro nel corso di cinque-dieci anni, stando al parere degli esperti della materia, il 10,5% dello stock del debito pubblico. Le alienazioni del patrimonio pubblico da sole quindi non bastano per eliminare il problema del debito pubblico italiano: ma possono sicuramente contribuire a riportare il debito/Pil sul trend della discesa sostenibile, accompagnate dal calo del costo degli interessi sul debito, da un avanzo primario attorno al 5% e il ritorno alla crescita economica.

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