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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2012 alle ore 07:38.

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Mai resa dei conti fu più prevista. Il rischio-contagio fece la sua apparizione nel 2010, quando deflagrò il caso Grecia. È da allora che l'Europa ed il suo braccio monetario, la Bce, e dietro di loro i governi nazionali, rincorrono i mercati. I quali, essendo per natura più veloci, dettano i tempi della crisi, infischiandosene dei vertici politici poco o per nulla concludenti e delle solenni dichiarazioni sull'irreversibilità dell'euro.

Tanto era prevedibile e previsto l'attacco finale all'eurozona ad agosto, in una sorta di D-Day alla rovescia, che già a fine luglio il fuoco divampa minaccioso. Pompieri veri, in giro, se ne vedono pochi. E quei pochi che pure hanno le idee chiare su come circoscrivere l'incendio devono attendere il «via libera» degli azionisti forti, in una catena decisionale complessa e del tutto particolare.

Il caso della Bce e del suo presidente Mario Draghi è esemplare. Dispone di vari e potenti estintori, ha sulla carta una maggioranza per poterli attivare ma gioco forza non può non tener conto della Germania che frena. A loro volta, governo, parlamento e cittadini tedeschi attendono per il 12 settembre il verdetto della Corte Costituzionale sul nuovo fondo salva-Stati Esm. Mirabile paradosso: la Bce, al contrario della Federal Riserve, non è «prestatore di ultima istanza» mentre la Corte di Karlsruhe, baluardo dell'identità costituzionale tedesca, è di fatto il «decisore di ultima istanza» in Europa.

Come si possa rimandare le decisioni è un mistero, a meno che non si voglia ipotizzare un suicidio programmato continentale. Tra una settimana esatta si riunisce il consiglio direttivo della Bce e le aspettative vanno ben al di là di un classico taglio dei tassi d'interesse. Ieri, a conferma che qualcosa si muove anche tra i paesi più vicini a Berlino, il governatore della banca centrale austriaca Ewald Nowotny ha aperto la porta alla concessione della licenza bancaria al futuro fondo salva-Stati Esm. In pratica, grazie all'accesso ai prestiti della Bce, aumenterebbe grandemente la capacità d'intervento del fondo.

Qualcosa si muove, sì, ma siamo sempre all'interno del percorso (compresa la licenza bancaria, osteggiata da Berlino) immaginato per l'Esm che doveva essere operativo dal primo di luglio e che è in lista d'attesa all'esame della Corte Costituzionale tedesca.

Che la prudente apertura di Nowotny ribalti tendenze ed aspettative sui mercati è francamente impossibile pensarlo. Ed in ogni caso la politica dei "piccoli passi" e degli "appelli" (ultimo quello congiunto franco-spagnolo sull'unione bancaria), ha fatto il suo tempo. La svolta deve essere inequivocabile sia sul piano tecnico che su quello politico. Solo così i mercati capiranno che il muro europeo è solido e non è costruito su promesse vaghe e reversibili, e che l'Europa è capace di essere un soggetto politico unito e coeso.

La Bce, facendo quel che deve a sostegno in ultima analisi della stabilità dell'Europa, potrebbe svolgere un ruolo decisivo. Ma i tempi di reazione si misurano ormai in giorni e nemmeno in settimane. Occorre esserne consapevoli, perché il D-Day alla rovescia è all'orizzonte e non serve assolutamente a nulla evocare i fantasmi della spietata speculazione.
Non avrebbe interesse a restare ferma la stessa Germania. Ieri l'autorevole centro di ricerca Ifo ha spiegato che in caso di default della Grecia le perdite di Berlino arriverebbero a 82 miliardi che diventerebbero 89 nel caso Atene, dopo il default, rimanesse nell'euro. In ogni caso un salasso. E sempre l'Ifo, anche se il Governo ha confermato una crescita dello 0,7% nel 2012, ha segnalato con questo mese di luglio il terzo calo mensile consecutivo dell'indice che misura il clima di fiducia delle imprese.

Uno scenario di incertezza permanente, o peggio di crack sistemico, insidia il motore europeo numero uno che, legato a doppio filo produttivo con gli altri Paesi europei, ha colto (ed ha saputo cogliere con riforme coraggiose) tutti i benefici della moneta unica. Forse non a caso nei giorni scorsi una ricerca della Bank of America Merrill Lynch spiegava, citando Pareto ed i "giochi cooperativi" del premio Nobel John Nash, che l'Italia potrebbe trovare conveniente un'uscita ordinata e volontaria dalla moneta unica mentre proprio la Germania sarebbe il Paese meno incentivato ad abbandonare l'euro. Sistema che dunque dovrebbe difendere coi denti.

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