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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2012 alle ore 08:18.

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Antonella Olivieri
Una staffetta tra le holding lussemburghesi dei tre figli di Salvatore Ligresti, i due trust alle Bahamas gestiti da Giancarlo De Filippo, e infine Vincent Bollorè. Acquisti in sequenza sul titolo Premafin che hanno avuto l'effetto di sostenerne le quotazioni a livelli irrealistici, se si considera che a ottobre 2010 la holding a capo di FonSai viaggiava in Borsa a tre volte circa il suo net asset value. È questo il quadro che emerge dalla nuova documentazione Consob depositata giovedì alla Procura di Milano nell'ambito del filone d'indagine sulla manipolazione di mercato relativa al titolo Premafin.
Bollorè, esponente di spicco del patto di Mediobanca (è a capo di una cordata che detiene l'11%), fino alla prima metà del 2009 risultava avere in Premafin solo lo 0,59%. Dal rendiconto relativo al primo semestre 2010 di Financière de l'Odet, una delle holding del finanziere bretone, era però emerso che questa quota era stata portata all'1,68% e contabilizzata per circa 6 milioni. Nell'autunno del 2010 Bollorè inizia a comprare a ritmo più sostenuto. Il 22 settembre sale per la prima volta al di sopra della soglia del 2%, portandosi al 2,036% (l'1,99% tramite la Financière de l'Odet e lo 0,046% tramite la Financière du Perguet). Gli acquisti proseguono e il titolo l'11 ottobre recupera per la prima volta quota 1 euro, che non aveva più toccato da metà maggio. Qualche giorno prima Bollorè aveva dichiarato che si trattava di un semplice investimento finanziario, sul quale aveva intenzione di puntare «ancora qualche milione». Il 26 ottobre viene reso pubblico che Bollorè è salito al 5%, per un investimento complessivo stimabile intorno ai 20 milioni. Il 29 ottobre le quotazioni raggiungono un massimo di 1,075 euro e da lì iniziano a calare. Quel giorno la famiglia Ligresti aveva annunciato di aver raggiunto un'intesa per l'ingresso di Groupama, socio di Mediobanca nella cordata di Bollorè, che negava però di essersi mosso "in concerto" con la compagnia transalpina. I termini dell'accordo prevedevano che Premafin avrebbe avviato un aumento di capitale (finalizzato a riequilibrare una struttura finanziaria appesantita da oltre 300 milioni di debiti) per l'importo di 225,7 milioni. Groupama avrebbe dovuto farsene carico per una parte, rilevando i diritti d'opzione della famiglia Ligresti (che avrebbero ottenuto un corrispettivo di 30 milioni) e sottoscrivendo nuove azioni a 1,1 euro.
Con Groupama poi non se ne fece nulla, perchè la Consob stabilì in seguito l'obbligo di Opa. Ma nell'autunno 2010 era evidente l'interesse a sostenere i corsi del titolo, in quanto altrimenti la ricapitalizzazione sarebbe stata irrealizzabile, compromettendo inoltre la ristrutturazione del debito dell'intera filiera Ligresti. La tesi che emerge dalla ricognizione Consob è che l'intento della staffetta fosse proprio quello di spingere le quotazioni di Premafin verso il prezzo di 1,1 euro dell'aumento di capitale. E a cedere parte delle azioni che Bollorè ha rastrellato nel giro di un mese, tra settembre e ottobre 2010, potrebbero essere state proprio le holding estere della famiglia Ligresti che in precedenza avevano acquistato.
Da parte sua Bollorè ha fatto sapere ieri di «aver acquisito la partecipazione in modo perfettamente chiaro e legale», realizzando gli acquisti «sul mercato attraverso un intermediario concordato» e che «soglie e intenzioni sono state regolarmente dichiarate alle autorità competenti e agli analisti o giornalisti finanziari interessati».
Si vedrà se il sostituto procuratore di Milano Luigi Orsi farà proprie le tesi della Consob o quelle di Bollorè. Intanto sui Ligresti indaga anche la Procura di Torino, che ha acceso il faro su 13 operazioni immobiliari realizzate da FonSai con le società del costruttore siciliano. Gli indagati per falso in bilancio e ostacolo all'attività degli organi di vigilanza sono otto: Paolo, Jonella e Giulia Ligresti, l'ad di FonSai, Emanuele Erbetta, e i manager e componenti del comitato esecutivo del gruppo, Fausto Marchionni, Antonio Talarico, Massimo Pini e Vincenzo La Russa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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