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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2012 alle ore 14:38.
Avremmo preferito "celebrare" l'anniversario dei cinque anni come semplice amarcord, in realtà la crisi finanziaria scoppiata nell'agosto 2007 è in mezzo a noi e ne sentiremo parlare ancora per un po'. Ha subìto una sorta di metamorfosi genetica, da crisi finanziaria-immobiliare Usa a minaccia per i debiti sovrani, e condizionerà anche per i prossimi anni l'agenda dei mercati. Dunque, la lezione che i risparmiatori hanno appreso sulla loro pelle non deve essere messa in un cassetto: fine del "risk free" sui bond sovrani, forte selettività sui titoli azionari (con una preferenza per gli Usa) e massima diversificazione tra le asset class. Questa la stella polare anche per i prossimi anni.
«I tempi per l'uscita dalla crisi – spiega Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners – non saranno brevi. È in corso un profondo deleveraging che ha interessato soprattutto gli Stati Uniti mentre in Europa non è stato ancora sostanzialmente avviato. Il debito totale Stati, famiglie, imprese negli Usa è sceso dal 360% al 330% mentre in Europa è addirittura cresciuto leggermente al 450%. Nel Vecchio Continente le banche hanno ancora molta leva e nel frattempo gli Stati hanno aumentato l'indebitamento. Siamo ancora nel corso di una lunga convalescenza, molto lentamente si stanno facendo alcuni passi. Negli Stati Uniti ad esempio il risanamento delle banche è stato completato ed è iniziata anche la pulizia nel settore immobiliare». Secondo Fugnoli, «rimarrà una situazione di repressione finanziaria pesante. Negli Usa la politica dei tassi a zero resterà fino al 2015. È in corso una giapponesizzazione del debito».
Da qualsiasi punto di vista si osserva la fase in corso, il nodo del debito è quello che condiziona ogni prospettiva futura. Per Ewen Cameron Watt, chief investment strategist del BlackRock Investment Institute, «sarebbe realmente sorprendente se nei prossimi cinque anni i tassi di crescita nei Paesi sviluppati ritornassero ai livelli antecedenti al 2007. Lo scenario attuale evidenzia la necessità dei Paesi di ridurre i deficit e una bassa propensione al risparmio da parte delle famiglie. Gli sviluppi legislativi ridurranno il livello di leverage che potrà essere utilizzato dal sistema finanziario. Tali fattori incideranno sulla crescita che a livello mondiale generale si attesterà al 2,5%-3,5% in tutto questo periodo, un punto percentuale più basso rispetto ai livelli pre 2007».
Tale crisi ha la particolarità di avere sia una valenza finanziaria che economica ma soprattutto di essere di natura sincronizzata su base globale. «La crisi – commenta Donatella Principe, head of istitutional business di Schroders Italia – ci ha anche insegnato a ragionare su veri pochi driver. Intanto restare lontano dal credito, perché subirà ancora dei contraccolpi. Puntare su aziende Usa piuttosto che quelle europee perché le prime sono più avanti sul deleveraging. Meglio poi le big cap rispetto alle aziende a più bassa capitalizzazione. In un mondo che ancora resterà per molto con bassi tassi di interesse è fondamentale la stabilità degli utili».
Tra tutte le aree il Vecchio Continente appare più vulnerabile. «Una delle lezioni della crisi – commenta Marco Valli, responsabile analisi macro per l'Eurozona di UniCredit – è che occorre dare maggior peso agli squilibri interni alla zona euro. Prima si pensava genericamente che l'equilibrio delle partite correnti a livello di euro zona nel suo complesso segnalasse una bassa vulnerabilità, mentre oggi sappiamo che gli squilibri intra-area hanno un forte peso. Queste differenze si superano con un processo di riforma che è in corso. Probabilmente i prossimi cinque anni non saranno sufficienti a colmare tutti i gap».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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