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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2012 alle ore 06:40.

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Alla fine, per il Comune di Torino, è arrivata la resa dei conti sullo scottante dossier Iren, con la holding Finanziaria Sviluppo Utilities (primo socio del gruppo energetico con il 35,9%) che, in assenza di dividendi dalla controllata e appesantita da un derivato firmato con Goldman Sachs, ha chiuso il 2011 in profondo rosso ed è stata costretta a rinegoziare debiti per oltre 180 milioni con Intesa Sanpaolo. Un ulteriore grattacapo, per l'amministrazione guidata da Piero Fassino, che è già esposta con Iren per circa 260 milioni, costituiti perlopiù da bollette non pagate.
I destini di Finanziaria Sviluppo Utilities (Fsu), controllata pariteticamente da Torino e da Genova, sono legati a doppio filo a Iren: tra i rischi legati alla liquidità, nel 2010, la società di partecipazioni indicava «eventuali riduzioni o ritardi nel pagamento dei dividendi». Circostanza che si è verificata l'anno successivo, quando il rosso di bilancio (-99 milioni) legato alle rettifiche su Edison ha consentito a Iren di distribuire una cedola "simbolica", col risultato che nelle casse di Fsu sono affluiti soltanto 5,5 milioni. Non abbastanza per fare fronte agli oneri finanziari, quasi 6,6 milioni rappresentati dagli interessi passivi da pagare sia a Intesa Sanpaolo (3,6 milioni) sia su un derivato stipulato con Goldman Sachs (2,95 milioni), uno swap finalizzato a coprire i prestiti a tasso variabile ma che, visto il fair value negativo per 16,2 milioni a fine 2011, ha tutte le caratteristiche di un autogol. E così, impossibilitata a pagare l'intera rata del mutuo di Intesa (per la precisione di Biis), Fsu ha trattato con la banca una ristrutturazione del debito. Quest'ultimo, strutturato in due tranche (una in ammortamento da residui 82 milioni e una bullet da 104 milioni), è stato raggruppato in un unico prestito amortising con un allungamento della scadenza, in precedenza fissata al 2020. Una soluzione che il collegio sindacale di Fsu ha apprezzato visto che «consente di fare fronte ai flussi finanziari in uscita evitando perdite dallo smobilizzo di partecipazioni». Del resto, oggi in Borsa la partecipazione in Iren - l'unico asset del bilancio della holding - vale solo 149 milioni, meno dell'esposizione nei confronti di Intesa Sanpaolo, che è anche azionista del gruppo energetico con circa il 3%.
Proprio il crollo delle quotazioni a Piazza Affari (0,35 euro) e le perdite registrate da Iren, hanno costretto Fsu a un altro passo doloroso, rivelato ieri da Radiocor: la rettifica per 258 milioni della partecipazione nell'utility, con il prezzo di carico ridotto da 1,96 euro a 1,35 euro. Comunque la parte alta della forchetta individuata da Deloitte (il perito chiamato dalla holding per stimare la quota) tra 1,28 e 1,36 euro dopo un'analisi che ha tenuto conto del premio di controllo legato alla quota. La maxi svalutazione ha comunque generato nel bilancio di Fsu una perdita netta di 259 milioni. Per coprirla, la società - a fronte di un capitale sociale versato per 350 milioni - ha quasi dimezzato il patrimonio netto.
Quest'anno la situazione sembra meno allarmante, visto che Iren ha chiuso il primo trimestre con un risultato netto di 56 milioni, ma non va dimenticato il debito del Comune di Torino nei confronti dell'utility: 260 milioni che dovrebbero comunque scendere a 150 milioni entro fine anno grazie alle dismissioni messe in cantiere da Fassino.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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