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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2012 alle ore 11:53.

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Wall Street è tornata a prendere di mira Facebook: il titolo ha lasciato ieri sul parterre il 5,6 per cento per chiudere a 20,38 dollari. Ma questa flessione è segno di un nervosismo tutto particolare: avviene a due giorni dalla prima scadenza del periodo di "lockup", il divieto a vendere titoli da parte degli insider, di investitori della prima ora, troppo a ridosso del collocamento.

Da domani, infatti, potranno teoricamente finire in Borsa fino a 271 milioni di azioni del re dei social network, che si aggiungono ai 421 milioni già in circolazione. Il semaforo verde ai titoli, che scatta gradualmente ad almeno 90 giorni dall'initial public offering (l'IPo), è una nuova sfida per la società di Mark Zuckerberg: lo scivolone delle quotazioni dallo sbarco in maggio, ormai vicino al 45% (da 38 dollari a poco più di 20), ha eroso e a volte cancellato i potenziali guadagni di numerosi grandi investitori, da Goldman Sachs a Microsoft fino ad alcuni top executive del gruppo. Lasciandoli con un dilemma: vendere comunque e intascare quel che si può. Oppure dar credito alla società scommettendo sul suo business, parso in frenata, e su riscosse di mercato. La risposta offrirà un bel barometro, forse ancor più di un'Ipo segnato da controversie, della fiducia che Facebook è in grado di guadagnarsi.

Il test di Borsa, in realtà, sarà protratto: i quasi 300 milioni di titoli sbloccati questa settimana sono soltanto una tranche di quanto diventerà disponibile nell'arco dei prossimi nove mesi. Forse altri 1,7 miliardi di azioni, che faranno salire il totale a quasi due miliardi, il quadruplo delle azioni oggi a Wall Street. Tra questi anche titoli in tasca a Zuckerberg, il cui lockup dura fino a novembre, e buona parte delle quote di altri influenti padrini finanziari del social network del calibro di DST Gobal e Mail.ru Group.

La brusca correzione al ribasso già avvenuta nel titolo potrebbe limitare ulteriori pressioni negative. E anche sulla carta gli incentivi a passare la mano non sono gli stessi per tutti: possono essere maggiori per alcuni dei primissimi investitori, entrati almeno cinque anni or sono ai prezzi più bassi, se non lo considerano un investimento strategico. Anche escludendo Zuckerberg e altri dirigenti di Facebook, considerati improbabili venditori, tra questi si contano Accel Partners, forte di 152 milioni di azioni, Greylock e Meritech Capital.

Qualche guadagno potrebbero assicurarselo anche Microsoft e Elevation Partners (la società di Bono degli U2), che hanno comparato quando Facebook era valutata tra i 15 e i 23 miliardi. E Tiger Global, che ha preso titoli a meno di dieci dollari.

Più difficile uscire con profitto per Goldman Sachs (41,6 milioni di titoli) o DST Global (85,6 milioni di titoli), che avevano fatto il loro ingresso a valutazioni già lievitate sui mercati grigi a 50 miliardi, cioè simili all'attuale capitalizzazione di mercato del gruppo. La spada di Damocle della fine del lockup, di ondate di azioni in "libera uscita", fa tuttavia temere un altro effetto che minaccia di creare ostacoli alla marcia di Facebook in Borsa: l'aumento della cautela da parte di investitori ottimisti sulle sue prospettive, che non vogliono però rimanere prigionieri di tensioni e oscillazioni del titolo nei prossimi mesi. Comunque ieri S&P Capital Iq ha alzato il suo giudizio sul titolo Facebook da "hold" a "buy".

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