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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2012 alle ore 06:41.

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pIl testo della sentenza con cui un collegio di giudici ha respinto l'arbitrato avanzato dal gruppo Ucraino Metinvest ai danni di Malacalza. Gli stranieri chiedevano un risarcimento di circa 70 milioni di euro. L'arbitrato è stato respinto Era l'autunno del 2007. Gli ucraini di Metinvest staccano un maxi-assegno da un miliardo di euro per comprare le acciaierie Trametal di Genova e l'inglese Spartan Uk. A incassare è la famiglia Malacalza che cede le due partecipazioni chiave. Il tempismo è quantomai perfetto: è il periodo boom per l'acciaio e l'apice della bolla dell'M&A, che gonfia le valutazioni: poco tempo prima un altro gruppo russo, la Severstal del giovane magnate Alexei Mordashov (proprietario anche della Lucchini) aveva tentato la scalata alla franco-belga Arcelor (poi finita alla indiana Mittal). Quanto a fiuto per gli affari, Malacalza non è dunque secondo al socio Tronchetti che sette anni prima, in pieno delirio da new economy, cedette la Optical all'americana Corning con super-plusvalenza personale (500 miliardi di vecchie lire). Ora tra i due si sta disputando una partita di potere.
Se oggi Vittorio Malacalza può fare la voce grossa con Marco Tronchetti Provera tanto da mettere in discussione gli equilibri nella galassia Pirelli, è grazie a quella immensa liquidità incassata e su cui ancora siede. Ma su quella operazione emergono tasselli e retroscena rimasti ignoti. Nella mole di documenti su Malacalza e Camfin che Indymedia e il fantomatico hacker/blogger Mister Bean (che vanta addirittura contatti con i servizi segreti) hanno riversato in rete, spicca anche un inedito braccio di ferro tra la famiglia genovese e i compratori dell'Est Europa. Gli ucraini non ci stanno, hanno sentore di bruciato. La Trametal contesta l'accordo e pretende un risarcimento milionario. Solo che il sentore gli ucranini ce l'hanno quasi due anni dopo. Solo nell'autunno del 2009 fanno partire contro Hofima (holding dei Malacalza) e a Mattia Malacalza (figlio di Vittorio) un arbitrato. I Malacalza avrebbero nascosto malfunzionamenti degli impianti che hanno richiesto costi di 50 milioni. In più pretendono indennizzi per altri 20 milioni legati a una fidejussione di Unipol e a debiti verso la Enasarco. Negli stessi giorni in cui gli ucraini vanno all'attacco, negli uffici di Trametal arriva la guardia di finanza: contesta violazioni fiscali per l'anno 2007 (ancora in gran parte attribuibile alla gestione Malacalza).
Ma c'è anche una questione più immediata. Quando Malacalza vendette, una parte della somma incassata, pari a 7,5 milioni di euro, era stata "congelata" in un escrow account (caparra) presso la Ubs, banca svizzera che aveva fatto da advisor per la vendita. Quei soldi sarebbero stati scongelati a favore di Malacalza solo se entro il 14 settembre di due anni dopo non sarebbe stato presentato alcun arbitrato in merito alla vendita. Metinvest deposita il suo ricorso il 9 settembre, cinque giorni prima della scadenza della «caparra». Alla fine, però, la spuntano gli italiani: l'arbitrato, tra mille polemiche e ricusazioni di giudici, dà torto agli ucraini. Addio alle pesantissime richieste risarcitorie e liquidità intatta per la famiglia. L'avventura nella galassia Pirelli è costata complessivamente 88,4 milioni, dei quali 53,6 milioni spesi per raccogliere il 12,4% della Camfin, la holding che custodisce il controllo di Pirelli, e 34,8 milioni per il 31% della Gpi, ossia la cassaforte che a sua volta ha il 41% di Camfin. Oggi il solo investimento del 12,4% nella finanziaria che tira le fila della Bicocca vale in Borsa poco più di 29 milioni, ossia il 45% in meno di quanto speso. Tuttavia, stando alle stime degli analisti sulla semestrale Camfin, con un Nav atteso a 700 milioni, quel pacchetto dovrebbe essere valorizzato almeno 87 milioni. Poco meno di quanto investito complessivamente anche per il 31% della Gpi, ma soprattutto molto di più di quanto era il valore sulla carta della partecipazione quando nel 2009 i Malacalza fecero il loro ingresso. All'epoca il Nav della Camfin era negativo per 85 milioni. I Malacalza vogliono centrare a modo loro il target sul debito Camfin che quattro anni fa venne concordato con le banche, ossia la discesa dell'esposizione a 250 milioni entro fine 2012. Per farlo ritengono sia indispensabile un aumento di capitale, forti della maxi liquidità che i due fratelli Davide e Mattia Malacalza hanno parcheggiato nelle rispettive cassaforti, Hofima e Luleo. Il bilancio della Hofima del 2011 registrava disponibilità liquide per 441,7 milioni.

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