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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2012 alle ore 06:41.

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Il debito Camfin spezza l'armonia tra i soci della holding e fa vacillare l'asse tra Marco Tronchetti Provera e la famiglia Malacalza. Il dissidio, nato all'inizio di luglio, emerge chiaramente da un carteggio riservato, pubblicato dal sito Indymedia. Si tratta di alcune lettere che mettono in evidenza posizioni opposte su quale sia la strada migliore per sistemare l'esposizione della holding, 400 milioni dei quali 137 milioni in scadenza a fine anno. La famiglia di Genova preme per una ricapitalizzazione, il vertice di Camfin e lo stesso Tronchetti rispondono dicendosi stupiti «del cambio di rotta» dei partner. L'esito è un consiglio di amministrazione assai acceso, tenuto il 10 agosto scorso, al termine del quale, con il voto contrario dei Malacalza, viene dato mandato al presidente perché si valutino strade alternative alla ripatrimonializzazione, in particolare l'emissione di un prestito convertibile in azioni Pirelli (5,6% del capitale) del valore compreso tra i 150 e i 200 milioni con la possibilità, a scadenza, di un rimborso cash. Scelta che i Malacalza, forti di una liquidità disponibile vicina a un miliardo, non hanno digerito e rispetto alla quale sarebbero pronti a reagire. L'idea sarebbe di aggrapparsi al patto parasociale firmato con Gpi e Mtp (la accomandita di Tronchetti) in Camfin. In particolare, su alcune materie definite «fondamentali» è indispensabile il voto favorevole dei Malacalza. Tra queste vi è l'«assunzione in qualsiasi forma e per qualunque finalità di nuovo debito che determini un incremento della posizione debitoria di Camfin superiore a 40 milioni». Potrebbe essere il caso del convertibile? Difficile. Se anche venisse emesso un nuovo bond da 200 milioni questo, come da accordi con le banche creditrici, dovrebbe servire principalmente per rimborsare debito preesistente. Di conseguenza, il bilancio finale dell'esposizione resterebbe invariato. Per contro, però, il convertibile potrebbe comportare la dismissione di titoli Pirelli, e la vendita di azioni della Bicocca è un atto regolamentato dai patti parasociali. In particolare non può avvenire senza l'assenso delle parti. Tuttavia, se la cessione è funzionale al rispetto dell'accordo con le banche creditrici, l'intesa con gli istituti ha carattere prevalente rispetto al vincolo tra i soci. La questione, dunque, è assai complessa. Il patto scade a luglio 2013 e scioglierlo potrebbe voler dire scontro aperto. Tanto più che in gioco c'è l'equilibrio dell'intera filiera, considerato che i Malacalza sono soci forti anche di Gpi, con il 31%, e la finanziaria ha in scadenza a novembre 40 milioni di debito.
Lo scontro
A tutto ciò, si è giunti dopo una prima e assai piccata missiva firmata da Davide Malacalza. La lettera porta la data del 9 luglio ed è stata inviata alla Mtp sapa e alla Gpi. Nelle prime righe viene sottolineata la «necessità di un'immediata e reale riduzione dell'indebitamento di Camfin su livelli più sostenibili, coerenti con lo spirito industriale della partnership» e la successiva convinzione che «le risorse necessarie per il rimborso del finanziamento provengano non da ulteriori operazioni di debito (capaci, oltretutto di pregiudicare la partecipazione al capitale Pirelli) ma da un concreto rafforzamento del capitale». Due giorni dopo, la Mtp risponde: «Dobbiamo di nuovo manifestare la nostra sorpresa e il nostro rammarico per il cambio di rotta». Per la cassaforte di Tronchetti la scelta di optare per un bond convertibile faceva parte di cose «già ripetutamente illustrate sia nella formulazione di quelle da voi definite ipotesi di lavoro sia nelle competenti sedi di Gpi e Camfin». La chiosa è infine un richiamo a «un immediato confronto su vostre eventuali, ma concrete proposte». Confronto che si è tenuto al cda del 10 agosto durante il quale, però, ha prevalso la linea Tronchetti che in Camfin può contare sull'appoggio di diversi soci storici, come la famiglia Moratti. Complice, peraltro, un documento presentato in consiglio che sconsigliava il ricorso, in questa fase, a un aumento di capitale.
Il no all'aumento.
La ripatrimonializzazione sarebbe stata accantonata dal board per cinque ragioni. Primo, i chiari di luna dei mercati che, combinati con le «caratteristiche del titolo Camfin», potrebbero rendere eccessivamente onerosa l'operazione. Peraltro, vista la prassi recente, sarebbe obbligato uno sconto sul Terp piuttosto rotondo con il risultato che, quotando già Camfin a sconto sul Nav attorno al 65%, la ripatrimonializzazione si rivelerebbe troppo diluitiva. Inoltre, per contenere i costi, Gpi potrebbe dover far parte del consorzio di garanzia e se si dovesse accollare più di un 5% del capitale, potrebbe scattare in capo alla holding l'obbligo d'Opa a un prezzo scontatissimo, con doppia penalizzazione per i piccoli soci. Infine, le risorse iniettate servirebbero, ora, per rimborsare debito e non per lo sviluppo. Tutto ciò ha convinto il consiglio a optare per il convertibile. Ipotesi caldeggiata anche dal mercato, come sostengono alcuni report. E supportata dal fatto che, stando alle stime, Camfin chiuderà il semestre con un Nav vicino ai 700 milioni. Anche le banche sarebbero favorevoli al bond.
Per i Malacalza, tuttavia, il no alla ricapitalizzazione è «immotivato». Di qui la presa di posizione. Il mercato si interroga su quali saranno le ripercussioni: Vittorio Malacalza non è nuovo a rotture improvvise. Il prossimo round è atteso al cda del 29 agosto
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