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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2012 alle ore 06:43.

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La mossa non è certo inattesa, ma potrebbe contribuire ad arginare la discesa dei prezzi dell'alluminio, che nell'ultimo anno sono calati di quasi il 25%, finendo a livelli che per molti produttori sono inferiori ai costi. Dopo numerosi avvertimenti lanciati nel corso dell'anno, Rusal – il primo produttore mondiale del metallo – ha finalmente deliberato un taglio dell'output: la capacità verrà ridotta di 150mila tonnellate, pari a circa il 4% del totale, entro la fine del 2012. Per il 2018 la società russa conta di chiudere quattro delle sue fonderie, per 275mila tonn. complessive, sostituendole con nuovi e più efficienti impianti che costruirà in Siberia.
Il progetto è stato approvato dal consiglio di amministrazione in una seduta sofferta, che ha registrato il voto contrario dei rappresentanti di Sual Partners, società di investimento che possiede il 15,8% di Rusal, che avrebbe preferito evitare la chiusura degli impianti russi a favore di un disinvestimento in Nigeria, dove la Alscon (Aluminium Smelter Company ofNigeria) starebbe lavorando in perdita.
La polemica potrebbe ricondursi semplicemente all'eterna rivalità tra Viktor Vekselberg, l'ex presidente di Rusal, al quale fa capo Sual, e Oleg Deripaska, il magnate che controlla il gigante dell'alluminio. Tra i principali motivi di contrasto tra i due c'è una partecipazione del 25% in Norilsk Nickel, altro big russo dei metalli, che Vekselberg insiste per vendere, scontrandosi con Deripaska, che è arrivato a rifiutare un'offerta da 12,8 miliardi di dollari per il riacquisto della quota da parte di Norilsk.
Quella partecipazione – che nel primo semestre ha perso il 37% del suo valore – continua a pesare sui conti di Rusal, in rosso ormai da due trimestri consecutivi. Tra aprile e giugno, secondo gli ultimi dati di bilancio, diffusi ieri, il gruppo ha perso 37 milioni di dollari, contro un profitto 328 milioni nello stesso periodo di un anno prima. All'origine del risultato negativo c'è anche una svalutazione una tantum da 167 milioni, relativa all'impianto di allumina di Friguia, in Guinea, fermo dallo scorso aprile per uno sciopero. I dipendenti non solo reclamano salari più alti, ma contestano la legittimità della licenza concessa dal Governo a Rusal. Friguia, ha specificato il direttore finanziario Evgeny Kornilov, «ha anche costi di produzione elevati che al momento ne rendono le operazioni antieconomiche».
Rusal – che a detta degli analisti sta soffrendo meno dei concorrenti a causa di una buona capacità di controllo dei costi – prevede che nel 2012 verranno congelate complessivamente 4,5 milioni di tonnellate di capacità produttiva nell'alluminio, pari a circa un decimo della domanda. La società russa, che ha visto crollare dal 52 al 38% la quota di vendite sul mercato europeo, ha rivisto al ribasso le sue stime al riguardo. Ora vede i consumi di alluminio primario crescere del 6 invece che del 7% a livello globale e del 10 invece che dell'11% in Cina, dove però potrebbe esserci una ripresa nel secondo semestre, legata a azioni di stimolo dell'economia.
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