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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2012 alle ore 12:31.

Tanta liquidità, niente credito. È il paradosso dell'attuale fase di mercato. Amara. Per le banche e per le imprese. Che hanno visto, queste ultime, venir meno oltre 30 miliardi di prestiti nello spazio di pochi mesi. Solo a novembre del 2011 il monte crediti delle banche italiane al sistema imprenditoriale era di 915 miliardi. A fine giugno 2012 lo stock si è ridotto a 883 miliardi. Trentadue miliardi in meno, il 3%, l'entità di una mezza manovra finanziaria. Numeri nudi e crudi che testimoniano della forte stretta creditizia in atto nel Paese. Certo c'è più di una ragione ad aver indotto le banche a tirare il freno a mano.
La prima è la più evidente. Stanno correndo a piè sospinto le sofferenze e gli incagli nei conti delle banche. Solo le sofferenze lorde sono arrivate al picco dei 113 miliardi, il doppio rispetto a fine del 2009. Ma se si aggiungono gli altri prestiti a rischio, i cosiddetti crediti deteriorati si tocca la cifra record di 195 miliardi, come ha documentato di recente questo giornale. Siamo a livelli elevatissimi ben sopra il 10% del totale dei crediti che le banche italiane hanno erogato negli anni.
È il contrappasso della stagione del credito facile, quando tra il 2003 e il 2008 il tasso dei prestiti correva alla media annua dell'8-9%.
Molto di quel credito è stato dato male o meglio concentrato male, come dimostra il caso dei Ligresti, beneficiari come famiglia di oltre due miliardi di crediti negli ultimi anni. Ora le banche preoccupate dalla recessione e dalle continue svalutazioni nei loro conti fanno marcia indietro. E se erogano credito lo fanno a condizioni insostenibili. Oggi una piccola impresa con un medio merito di credito finisce per pagare tassi tra il 6 e l'8% con punte che superano il 10%. Meglio rinunciare se possibile. E così tra offerta che langue e domanda che fugge, da tassi ai limiti dell'usura, ecco servito su un piatto d'argento il credit crunch all'italiana. Certo, le banche possono replicare che in fondo anche il costo del denaro per loro è salito. Il mercato all'ingrosso chiede almeno il 4-5%.
Per fortuna (loro) le banche possono spremere ancora il mercato dei piccoli depositanti che si devono rassegnare a rendimenti vicini allo zero. E poi un'occasione si è sprecata. Con i soldi della Bce all'1% le banche italiane hanno finito per comprare quasi esclusivamente i loro titoli e quelli di Stato. Tra novembre 2011 e giugno 2012 le banche hanno comprato titoli del Tesoro per oltre 100 miliardi. Doveva servire a sostituire la domanda estera crollata e ad abbassare lo spred. Un mezzo fiasco, almeno per lo spread.
Ma il problema è ancora più acuto. «C'è del credito deteriorato sommerso – spiega Fabio Bolognini di Linker, società di consulenza per le piccole medie imprese – che dovrà prima o poi venire alla luce e ristrutturato con intelligenza sia da parte delle banche che delle imprese. Le imprese dovranno presentare piani di rientro fattibili e le banche dovranno concedere, se non vogliono rischiare di perdere l'intero credito per il crack delle imprese, condizioni di tasso accessibili attorno al 2-3%. O si fa così o si rischia una nuova ondata di fallimenti».
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