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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2012 alle ore 12:31.
Si è fatto un gran parlare nei mesi scorsi della deposit facility: quei 300 miliardi di euro, poi lievitati a 500 miliardi e infine a 800 miliardi dopo le due aste di finanziamento a 3 anni messe in piedi dalla Bce per alleviare la crisi di liquidità, sono stati portati a esempio di come le banche europee (e quelle italiane) abbiano ritirato il denaro soltanto per lasciarlo improduttivo a Francoforte.
Spesso però i depositi presso la Bce sono stati tirati in ballo a sproposito, perché quella voce non è un sintomo di quanto gli istituti di credito siano restii a prestare denaro a imprese a famiglie, ma è in gran parte determinata dall'eccesso di liquidità nell'Eurosistema.
Quel surplus, al momento pari a 763 miliardi di euro, si distribuisce poi fra i diversi strumenti della Bce: la deposit facility, i conti correnti per le riserve obbligatorie e altre voci secondarie. Dipende a sua volta dalla quantità di denaro ottenuta dalle banche attraverso le operazioni di rifinanziamento dell'Eurotower e non si ridurrà fintanto che non si tornerà a raccogliere fondi attraverso il canale tradizionale del mercato interbancario.
C'è inoltre da ridimensionare il dato sulle banche italiane, che tradizionalmente hanno sempre utilizzato con una certa parsimonia la deposit facility. Un'impennata da poche centinaia di milioni fino a 12 miliardi circa, come si vede nel grafico sopra, si è avuta sì a fine dicembre subito dopo la prima asta triennale della Bce, ma al tempo stesso si è assistito a una riduzione della voce conti correnti.
La situazione si è poi di nuovo capovolta a fine luglio, in tutta coerenza con l'azzeramento del tasso sulla deposit facility.
Le cifre, se sommate, restanto comunque largamente inferiori sia a quanto preso a prestito dagli stessi istituti italiani nelle due maxi-operazioni di rifinanziamento (270 miliardi circa, secondo Barclays Capital) di dicembre e febbraio, sia a quanto depositato preso l'Eurotower dalle banche del Nord Europa. Quando si mettono assieme Germania, Francia, Olanda, Lussemburgo e Finlandia si raggiunge infatti quasi il 90% dell'ammontare complessivo della deposit facility prima e dopo la «cura» della Bce. Sono soprattutto le banche dei Paesi «core» a tenersi stretto il denaro e a evitare di prestarlo agli altri istituti della «periferia»: la solita fotografia dell'Europa a due velocità.
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