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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2012 alle ore 06:42.
Nel giorno il cui entra in vigore la nuova legge fallimentare, Sopaf cerca di arrivare a definire la richiesta concordato. Sono giorni febbrili di trattative per la società, realtà storica di Piazza Affari, fondata trent'anni fa da un decano del private equity, Jody Vender.
Ora a provare a salvare Sopaf è la famiglia Magnoni, che nel 2005 è diventata la nuova azionista della società d'investimento. Con l'assistenza del suo team di legali (lo studio Testa & Associati) si sta provando a trattare con le banche per arrivare all'ammissione al concordato preventivo. La società sta valutando se sia possibile consentire la continuità aziendale, riservandosi di determinare se il concordato che verrà proposto sarà in continuità o liquidatorio.
Una delle date critiche è quella del 18 settembre, quando è prevista l'assemblea della società: all'ordine del giorno ci potrebbe essere la nomina dei liquidatori oppure potrebbe essere scelta una strada alternativa. Ma per cercare di puntare sulla continuità aziendale, i Magnoni (con uno dei fratelli, Giorgio, impegnato in prima persona) dovranno trovare un cavaliere bianco.
Dopo la richiesta di concordato, in base alla nuova normativa, Sopaf avrà infatti tempo qualche mese per presentare un piano industriale al Tribunale. Il salvataggio dal default, a quel punto, non potrà che passare da una fusione o da qualche altro tipo di operazione straordinaria. Ma chi sta esaminando il dossier Sopaf? Secondo le indiscrezioni di questi giorni qualche soggetto avrebbero l'operazione sotto osservazione. I rumors indicano che tra i player alla finestra ci sarebbero due operatori italiani: cioè Atlantis Capital, investitore specializzato nelle cosiddette "situazioni speciali", e Methorios Capital, piccolo gruppo finanziario di Roma quotato sull'Aim, il mercato di Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese.
Del resto, solo il concordato potrebbe salvare Sopaf dal default. A condannare la società sono stati alcuni affari sbagliati degli ultimi anni, in particolare l'investimento in Banca Network, piccolo istituto milanese finito in liquidazione senza neanche i soldi per rimborsare i propri correntisti.
Il crack di Banca Network è stato fatale per Sopaf, che già navigava a vista. La società nel 2011 ha infatti raggiunto perdite per 57,9 milioni di euro contro il rosso di 20,6 milioni del 2010. Inoltre il 10 agosto scorso Sopaf ha comunicato che non avrebbe pagato le cedole dei due prestiti obbligazionari convertibili (2007-2015 e 20011-2015) e la prima rata di rimborso del secondo bond previste per la stessa data. La società appoggia le sue speranze di sopravvivenza su alcune aree di business ancora interessanti: le attività assicurative, qualche partecipazione industriale (nella Linkem) e quelle nelle energie rinnovabili oltre ai fondi immobiliari. Basterà per attrarre un socio? Per ora sotto i riflettori resta il declino di una società che nei primi anni 90 valeva in Borsa 300 milioni di euro e ora capitalizza solo 3 milioni.
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