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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2012 alle ore 23:03.

Quattro anni fa, oggi, era domenica. Era il giorno prima dell'Apocalisse: il 15 settembre 2008 fallì Lehman Brothers, innescando una reazione a catena che ha portato il sistema finanziario americano (e di conseguenza l'economia globale) a un passo dal collasso, costringendo i Governi e le banche centrali a misure estreme. Wall Street il 12 settembre 2008 (venerdì, l'ultima seduta prima del crack) aveva chiuso bene, con il Dow Jones a 11.421,99 punti. Il lunedì ne perse 500 circa, il calo proseguì nei giorni e nei mesi successivi: le blue chip sprofondarono il 9 marzo 2009 a 6.547,09 punti.
Quattro anni dopo a Wall Street il vento è cambiato, lo dicono i numeri: oggi Wall Street ha chiuso in rialzo, con il Dow Jones a 13.555,46 punti (+0,12%; +2,2% nella settimana), il Nasdaq a 3.179,20 punti (+0,74%; +1,5% nelle cinque sedute) e lo S&P a 1.462,32 (+0,16%; +1,9% da venerdì scorso). Alcuni titoli hanno fatto bene, portandosi ai massimi in vari anni, altri benissimo, toccando valori mai visti prima: record intraday per Apple (+1,22% alla chiusura, dopo avere toccato il massimo di 696,98 dollari per azione), Chevron (118,22 dollari per azione), Amazon.com (264,11 dollari per azione) e Walt Disney (52,74 dollari per azione).
Ma se Wall Street è tornata ai livelli pre-crisi, non si può dire lo stesso dell'economia globale e di quella americana. La ripresa è solo moderata, ha detto ieri il presidente della Fed Ben Bernanke, la Banca centrale è ancora costretta a proseguire sulla via di azioni straordinarie per sostenere la congiuntura. I dati macro, anche quelli odierni, continuano a non essere brillanti, nella migliore delle ipotesi dando indicazioni contrastanti: le vendite al dettaglio sono cresciute ad agosto (+0,9%, in linea con le stime), ma i prezzi al consumo hanno registrato il rialzo maggiore da giugno 2009 (+0,6%), la fiducia dei consumatori è salita (a 79,2 punti, meglio delle stime), ma la produzione industriale è calata (-1,2%, peggio delle attese).
Tutto questo, oggi non ha avuto peso sui listini, ancora sospinti dall'effetto-Fed. Non si è neppure data troppa importanza al fatto che l'agenzia di rating Egan Jones ha tagliato la valutazione sul debito americano da "Aa" a "Aa". La società è piccola e certamente ha meno peso dei colossi del settore – Standard & Poor's, Fitch Ratings e Moody's – ma l'estate scorsa "anticipò" di poco la scelta di S&P, che tolse agli Stati Uniti la "Tripla A", per la prima volta nella storia del Paese.
Guardando agli altri mercati, il petrolio ha terminato in aumento a 99 dollari al barile dopo avere toccato il massimo intraday di 100,42 dollari (+2,7% nella settimana, il rialzo maggiore da metà agosto), mentre l'oro ha finito al massimo in sette mesi (+60 centesimi a 1.772,70 dollari l'oncia; +1,9% nella settimana). In ribasso invece il biglietto verde, scivolato al minimo da maggio sulla moneta unica, che ha superato la soglia degli 1,31 dollari (l'euro è salito a 1,3124 dollari). In calo infine i titoli di stato, con i rendimenti decennali saliti all'1,86% e i trentennali in rialzo al 3,09 per cento.
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