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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2012 alle ore 06:41.

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Via libera all'unanimità della Fondazione Monte dei Paschi per votare l'ordine del giorno nell'assemblea straordinaria di Banca Mps, in programma a Siena martedì prossimo.
L'azionista di maggioranza relativa (34,9%), che ieri ha tenuto la sua deputazione amministratrice, tira dunque dritto per la strada imboccata senza ascoltare le richieste, di parte sindacale e di chi teme una normalizzazione della banca, e si prepara a concedere al consiglio d'amministrazione di Rocca Salimbeni la delega per vendere rami d'azienda e aumentare il capitale di un miliardo con esclusione del diritto d'opzione, riservandosi di «esplicitare le motivazioni» in assemblea.

L'appoggio della Fondazione presieduta da Gabriello Mancini è determinante per il vertice di Banca Mps, il numero uno Alessandro Profumo e l'ad Fabrizio Viola (cui spettano tutte le deleghe operative), impegnati a traghettare il gruppo senese in acque più tranquille dopo un esercizio 2011 in profondo rosso (4,6 miliardi di perdita, per effetto soprattutto delle svalutazioni) e una semestrale 2012 negativa per 1,6 miliardi (altre minusvalenze sugli avviamenti). In questo momento, a indicare la rotta non può che essere il piano industriale, che punta a una redditività del 7% nel 2015.

È sulla base di questo piano che il Governo italiano s'è impegnato a sottoscrivere entro l'anno 3,4 miliardi di obbligazioni riservate (i cosiddetti Monti-bond), con cui Siena chiuderà i vecchi Tremonti-bond (1,9 miliardi) e potrà colmare quel deficit di capitale (1,441 miliardi) che l'Eba, l'Autorità bancaria europea, ha sancito con il test di giugno (anche se sulla base di una valutazione datata dei titoli di Stato in portafoglio alla banca) e ufficializzato mercoledì. Il conto è dello shortfall di oggi, alla luce della cessione di Biverbanca e della plusvalenza realizzata con il buy back sui titoli subordinati, come indicato nel piano.

L'appoggio pubblico, quello di Bankitalia, e la relativa tolleranza incontrata in ambito europeo, dipendono unicamente dai contenuti del piano industriale. Ecco perchè manager e grandi azionisti marciano compatti. Ed ecco perchè la banca non può prescindere dagli obiettivi fissati, a cominciare dalla riduzione dei costi (600 milioni) e dai 4.600 esuberi. È il nodo più difficile. «Allo stato attuale permane un'indisponibilità pregiudiziale del sindacato, che si oppone a qualsiasi forma di esternalizzazione, se pur parziale e con adeguate garanzie occupazionali», scrive la banca in una nota.

Anche il Pd senese è sceso in campo, esprimendo solidarietà ai dipendenti del gruppo di Rocca Salimbeni, chiedendo che il Monte «riconvochi subito il tavolo di confronto» e sottolineando la necessità che «nella trattativa cadano tutte le pregiudiziali». Dura la risposta del coordinamento sindacale: «La generica solidarietà del Pd senese non è solo inutile, ma addirittura provocatoria - sottolineano le segreterie di Fabi, Fiba, Fisac, Ugl, Dircredito e Uilca -. L'azienda deve ritirare le esternalizzazioni e la disdetta del contratto integrativo». E invitano le forze politiche locali a spingere sulla Fondazione perchè non faccia passare l'ordine del giorno alla prossima assemblea del Monte. La Fondazione però ha deciso in altro modo. Nè poteva fare diversamente.

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