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Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2012 alle ore 07:49.

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ROMA
Sfida ricca ma dannata quella dell'Eni in Iraq. Crescono le riserve accertate di petrolio e gas. E si tratta di idrocarburi "facili" da tirar su, ormai merce rara nei pianeta. Ma l'intrico tra la burocrazia, l'incognita politico- amministrativa e i ritardi nei ripristinare e potenziare le infrastrutture dilaniate dalla guerra rischia di frenare non poco i programmi di espansione in quello che «rappresenta, almeno nelle potenzialità, il nuovo Eldorado degli idrocarburi».
Scenario un po' sconcertante quello tracciato dal numero uno dell'Eni Paolo Scaroni insieme al capoeconomista dell'Agenzia Internazionale per l'Energia, Fatih Birol, e dal nostro ministro degli Esteri Giulio Terzi.
Iraq sempre più ricco di risorse, sempre più ostico per lo sfruttamento. E così Scaroni tira, visibilmente, il freno. L'Eni non ridimensionerà (almeno per ora) l'attività già pianificata ad esempio nei campi di Zubair, dove è capofila in un consorzio con il 32,8%. Investimenti immensi e confermati: 18 miliardi di dollari, tra i 4 e i 5 già spesi per incamerare le quote di greggio che derivano dai contratti di buyback. «Portando la produzione da 250mila a un milione di barili al giorno». Uno «sforzo titanico» che doveva proiettare l'Eni verso ulteriori impegni, ma che «non sembra corrispondere alle nostre aspettative» tant'è che «il nostro entusiasmo si è affievolito».
«Tre le ragioni per cui sono un po' perplesso. C'è una burocrazia che ci impone 17 livelli autorizzativi, francamente troppi anche per chi è abituato alle difficoltà» rimarca Scaroni riferendosi implicitamente alla nostra attività petrolifera casalinga. C'è «il limite delle infrastrutture che ostacola la spedizione del greggio». C'è l'incognita politica: un macigno nelle capacità di programmare attività con un orizzonte temporale e con una pianificazione finanziaria necessariamente lunga.
Prospettive? «Cosa faremo non lo so. Offerte per West Kurna, che è a 10 chilometri da Zubair, o Nassirya che è un campo cui guardiamo con interesse dal '95, sarebbero state ovvie. Ci stiamo però chiedendo se è davvero possibile aumentare l'impegno in un paese che si è rivelato più complesso di quello che immaginavamo».
Governo locale più collaborativo? «Se altri operatori, come Exxon e Chevron, decidono di lasciare il sud dell'Iraq per andare in Kurdistan, questo è un segnale che il governo iracheno non deve sottovalutare e che mi auguro coglierà».
Peccato, perché questa gigantesca sfida ad ostacoli riguarda un paese dal «petrolio facile, con pozzi generosissimi» dove «se uno si impegna i risultati sono fenomenali» e ciò suggerirebbe di dissodare gli intralci con un'«urgenza che sarebbe utile a tutti e anche al Paese». Lo testimoniano le stime diffuse dallo stratega dell'Aie, Fatih Birol. L'Iraq adesso restituisce circa 3 milioni di barili. Un raddoppio al 2020, e anche più, sarebbe un gioco da ragazzi.
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