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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2012 alle ore 09:11.
Mentre lo scenario per la domanda di greggio sembra in leggero miglioramento, sul fronte dell'offerta spicca l'ascesa della produzione russa ai massimi dell'era post-sovietica e la conferma da parte della Chevron del declino dell'output delle principali major. I prezzi del petrolio hanno registrato un calo per tutte le sessioni della settimana, dopo un progresso momentaneo alla notizia di ieri sui dati sull'occupazione Usa migliori delle attese. Il Brent ha finito per cedere oltre 2 dollari scendendo sotto quota 106 in relazione al rafforzamento del dollaro. Del resto, nonostante l'aumento di 171mila unità degli occupati, la disoccupazione negli Usa continua a tendere al rialzo, mentre dal settore manifatturiero dell'Eurozona continuano ad arrivare notizie negative. Inoltre alcuni nuovi dati hanno evidenziato un calo dei consumo di benzina e gasolio per trasporti nella maggior parte dei Paesi europei nel corso dell'estate scorsa (tra indebolimento economico complessivo, alti prezzi alla pompa e maggiore efficienza energetica del parco veicoli).
Gli investitori, intanto, non hanno preso una posizione univoca sui possibili effetti dell'uragano Sandy che ha colpito New York questa settimana: i timori sulle interruzioni di offerta e distribuzione – problemi logistici interessano in particolare il porto di New York – si sono accompagnati ad altrettanto manifeste preoccupazioni per il calo della domanda nell'area regionale messa in ginocchio dal tifone. L'Energy Information Administration ha sorpreso giovedì con l'annuncio di un calo delle scorte di greggio negli Usa, ma in sostanza resta una situazione in cui ad ampi stock di greggio corrispondono livelli relativamente bassi di prodotti raffinati, il che dovrebbe continuare a sostenere i margini di raffinazione.
Da qualche tempo il downstream è diventato un fattore di traino della redditività delle grandi compagnie. Tuttavia ieri Chevron ha reso noto per il terzo trimestre un calo del 33% dei profitti netti a 5,25 miliardi di dollari: agli effetti del ridimensionamento dei prezzi del petrolio e del calo della sua produzione da 2,6 a 2,52 milionidi barili al giorno si sono sommate le pesanti conseguenze dell'incendio scoppiato presso un suo grande impianto in California (che ha contribuito a provocare una diminuzione del 65% dei profitti nella raffinazione a 689 milioni di dollari).
Mentre le major faticano a mantenere i livelli di produzione, dal ministero dell'Energia di Mosca è arrivata la notizia che l'output in Russia ha toccato un nuovo livello massimo dell'era post-sovietica in ottobre. La produzione è salita dello 0,5% a 10,46 milioni di barili al giorno, confermando il primato mondiale della Russia, seguita dall'Arabia Saudita. L'incremento del mese scorso è stato guidato da Rosneft (+0,9%), che sta per rafforzare il suo ruolo di principale produttore con l'acquisizione in corso della joint anglo-russa Tnk-Bp per 55 miliardi di dollari. Nei primi dieci mesi di quest'anno la produzione media nel Paese eurasiatico è stata di 10,35 milioni di barili al giorno.
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