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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2012 alle ore 06:41.

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di Paola Bottelli
Lacrime, tante lacrime. E una motivazione impeccabile: «L'età e la mancanza di eredi». Oltre a un bel gruzzolo: 70 milioni di dollari alla firma del contratto, nel gennaio '98, e altri 187 milioni all'esecuzione dell'accordo tra Valentino Garavani e il socio Giancarlo Giammetti (entrambi non coinvolti nell'inchiesta) da una parte e la HdP di Maurizio Romiti dall'altra. Al cambio dell'epoca, 463 miliardi di lire cash finiti nelle tasche dei due, che avevano fondato la maison 38 anni prima. Il nuovo ruolo? Un ricco contratto quinquennale di esclusiva.
Ma il polo del lusso sognato da Romiti non decolla e nel 2002 HdP cede l'azienda romana a Marzotto che, tre anni dopo, utilizza addirittura il nome Valentino Fashion Group per quotare in Borsa anche la controllata Hugo Boss. Nonostante i rapporti a volte non facili tra la famiglia di Valdagno e Valentino, fatturato e redditività crescono e il titolo in Borsa sovraperforma l'indice Mibtel e quello del lusso. Tanto che nel 2007 il fondo di private equity Permira si fionda su Vfg con un'acquisizione da 5,3 miliardi, pagando un multiplo di 17,8 volte l'Ebitda che, secondo Barclays, resta un record fino a quando Lvmh rileva Bulgari a 28 volte. Due giorni prima della fine dell'Opa, Valentino si ritira. A luglio 2012, Permira annuncia un ritorno del capitale investito oltre il 60% e cede a Mayhoola for Investment il controllo della maison che veste le signore più eleganti del pianeta. Inclusa l'emira del Qatar, nuova proprietaria.
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