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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2012 alle ore 06:42.

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Sotto inchiesta da parte dell'Antitrust europea, Gazprom accelera nell'offensiva per consolidare il dominio del mercato europeo del gas. Mentre i suoi dirigenti volavano a Milano per discutere con l'Eni e gli altri soci di South Stream la decisione finale di investimento per il gasdotto, da Mosca la società annunciava un importante accordo con la tedesca Basf, grazie al quale rafforzerà la sua presenza nella distribuzione e nello stoccaggio di metano nell'Europa Centrale. Non è tutto. Il colosso russo ha anche affermato che potrebbe firmare già entro l'anno prossimo un accordo preliminare per estendere fino alla Gran Bretagna il North Stream, altra conduttura che per ora si ferma in Germania.
Un attivismo davvero impressionante, quello di Gazprom, che appare indice di una crescente consapevolezza delle difficoltà, fino a qualche anno fa inimmaginabili, con cui è costretta a confrontarsi. Il gruppo, che tuttora soddisfa un quarto del fabbisogno europeo di gas, rischia di perdere la sua posizione privilegiata, non tanto – o non solo – per la debolezza dei consumi, che rischia di durare a lungo, quanto per l'imminente arrivo di nuove forniture dal Mar Caspio e la pericolosa sfida degli Stati Uniti, che – benedetti dalla rivoluzione dello shale gas – tra qualche anno potrebbero esportare metano in forma liquefatta anche verso il Vecchio continente.
Con gli utili sotto pressione, a causa dei ridotti volumi di vendita e delle continue richieste di sconti da parte dei clienti di lunga data, e una concorrenza sempre più agguerrita anche sul mercato domestico – con Rosneft, Novatek e recentemente anche Tnk-Bp che le stanno soffiando un cliente dopo l'altro tra le utilities russe – Gazprom sembra aver deciso di lottare con le unghie e coi denti.
Nelle ultime settimane la società ha convinto i suoi partner in Serbia, Ungheria e Slovenia ad approvare le decisioni di investimento per la realizzazione dei segmenti sulla terra ferma di South Stream, presto conta di chiudere anche con la Bulgaria, mentre ieri è stata la volta dei soci per il tratto offshore, che passerà sotto il Mar Nero. Il consiglio di amministrazione del consorzio, che oltre a Gazprom (50%) annovera Eni (20%), Edf (15%) e Basf (15%), si è riunito ieri nel quartier generale della compagnia italiana, per affrontare la questione. La riunione, iniziata alle 16, si è protratta a lungo senza che trapelassero dettagli. Ma i russi la settimana scorsa hanno già descritto con dovizia di particolari l'esito cui contano di giungere. La costruzione della pipeline, che richiede un investimento stimato di 16 miliardi di euro (di cui 10 per la parte offshore), dovrebbe iniziare già il prossimo 7 dicembre ed entrare in funzione – quanto meno con una delle quattro linee di trasporto previste – a fine 2015. Con largo anticipo rispetto all'avvio del Corridoio Sud, Tap o Nabucco che sia, che porterà in Europa il gas azero non prima del 2018.
Il tracciato definitivo di South Stream non prevede più il "braccio sud", verso Grecia e Italia meridionale. Ma il nostro Paese resta comunque la destinazione finale: lo sbocco dei tubi – con una portata massima di 22,5 miliardi di metri cubi l'anno, ha precisato il ceo di Gazprom, Alexey Miller – sarà a Tarvisio. Se anche per il Corridoio Sud vincerà il progetto con approdo in Italia, ossia la Tap (Trans Adriatic Pipeline), la Penisola riceverebbe potenzialmente fino a 42,5 miliardi di mc in più di gas all'anno, quando già oggi – con consumi inferiori a 80 miliardi mc – siamo costretti a respingere forniture.
La rete dei gasdotti rischia di essere sovradimensionate anche per l'Europa nel suo complesso. Con il North Stream che ha appena raggiunto una portata annua di 55 miliardi di mc e il completamento del South Stream fino alla massima capacità (63 miliardi di mc) solo Gazprom si ritroverebbe con oltre 300 miliardi di mc di capacità di trasporto verso la Ue: più del doppio rispetto agli attuali volumi di esportazione.
Più concentrata sui vantaggi di breve periodo appare per contro la decisione di rafforzarsi negli stoccaggi: una mossa che potrebbe aiutare a prevenire le difficoltà dello scorso febbraio, quando – a causa di un'ondata di freddo polare in tutta Europa – Gazprom non riuscì a soddisfare appieno le richieste dei clienti, italiani compresi.
Lo scambio di asset con Basf assegna ai russi il pieno controllo delle società di distribuzione e stoccaggio Wingas, Wieh e Wiee, in precedenza joint venture paritarie con Wintershall (100% Basf), più il 50% di Winteshall Nordzee Bv, attiva nella produzione di gas nel Mare del Nord. In cambio Basf ha ottenuto quote il 25% (con opzione a salire al 50%) dei blocchi 4 e 5 della formazione Achimov, nel giacimento siberiano Urengoi.
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