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Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2012 alle ore 06:43.

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Gazprom è riuscita a strappare il via libera alla costruzione della tratta sottomarina di South Stream, il maxigasdotto con cui fra appena tre anni conta di portare in Europa il suo gas bypassando Ucraina e Bielorussia. Ma i soci di minoranza – Eni con il 20%, più la francese Edf e la tedesca Wintershall (Basf) col 15% ciascuna – hanno preteso che venisse messo per iscritto il loro «diritto a lasciare il progetto nel caso in cui certe condizioni non vengano soddisfatte in futuro».
Di quali condizioni si tratti non è dato sapere, almeno ufficialmente. Questo e molti altri dettagli di cruciale importanza sono stati omessi dal comunicato con cui ieri mattina il consorzio South Stream Transport ha reso noto l'esito del consiglio di amministrazione di mercoledì, che si era protratto fino a tarda sera nel quartier generale dell'Eni a San Donato.
La nota si limita ad affermare che l'ok alla decisione finale di investimento – passaggio che il Cremlino voleva a tutti costi anticipare al 2012 – è arrivato, che il gasdotto punta a trasportare il primo gas «entro la fine del 2015» e che la sede della South Stream Transport verrà trasferita ad Admsterdam, scelta che offre indubbi vantaggi in termini fiscali e di riservatezza.

Non una parola sugli investimenti, che molti analisti stimano saranno superiori a quei 10 miliardi di euro (16 compresa la tratta terrestre) di cui Gazprom parla dal 2010, e che – assumendo una ripartizione pro quota degli oneri – sarebbero per 2 miliardi a carico dell'Eni. Nessun cenno neppure sul tracciato, benché la mappa allegata confermi che South Stream sfocerà davvero in Italia, a Tarvisio, dopo aver attraversato il Mar Nero, la Bulgaria, la Serbia, l'Ungheria e la Slovenia.
Gazprom ha intanto completato anche le decisioni finali di investimento per i tratti sulla terraferma, ottenendo ieri la firma bulgara. In cambio, Sofia ha avuto un rinnovo dei contratti di fornitura per 2,9 miliardi di metri cubi l'anno con lo sconto del 20% e la garanzia che saranno i russi a finanziare la posa dei tubi, recuperando la spesa attraverso i futuri dividendi.
Tutto è pronto, insomma, perché Mosca possa celebrare in pompa magna l'avvio della costruzione di South Stream: la posa della prima pietra, aveva detto Gazprom nei giorni scorsi, sarà il 7 dicembre ad Anapa, sul Mar Nero. Sembra comunque improbabile che i lavori possano procedere, almeno finché non si deciderà chi dovrà farli. È questa una delle situazioni in sospeso che potrebbero aver indotto i soci di Gazprom a pretendere un'«uscita di sicurezza» dagli impegni: Eni, che ha già collaborato con Gazprom nella realizzazione del Blue Stream, anch'esso sotto il Mar Nero, potrebbe aspirare a fornire un contributo importante.

Fonti vicine al progetto indicano poi che gli studi ingegneristici e di impatto ambientale non sono ancora completi. Inoltre – punto fondamentale – Gazprom non è ancora riuscita a trovare alcun cliente aggiuntivo a fronte della futura capacità di trasporto supplementare.
Infine, l'Unione europea potrebbe sollevare problemi: il Terzo pacchetto sull'energia impone di separare la produzione dalla distribuzione e South Stream avrebbe bisogno di un'esenzione speciale per operare. Il commissario all'Energia Günther Oettinger ha dichiarato ieri che South Stream è un «progetto infrastrutturale interessantissimo» verso cui Bruxelles «intende adottare un approccio costruttivo», ma che «nessuno, nemmeno a Mosca, ne conosce lo sviluppo».

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