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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2012 alle ore 06:41.

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FIRENZE
Cinquecento milioni in più di aiuti pubblici rispetto alle attese del mercato. È di 3,9 anzichè 3,4 miliardi, infatti, la richiesta d'intervento formalizzata ieri da Banca Monte dei Paschi al Governo attraverso l'emissione di strumenti finanziari riservati, i cosiddetti Monti bond, previsti dal decreto legge del 6 luglio scorso.
Il consiglio d'amministrazione del gruppo senese presieduto da Alessandro Profumo ha dunque deciso di rompere gli indugi, dando via libera a questi titoli ibridi computabili nel patrimonio di vigilanza Core Tier 1 (in linea con le raccomandazioni Eba del dicembre 2011), che per 1,9 miliardi serviranno a sostituire integralmente i vecchi Tremonti bond, sottoscritti dal Tesoro nel 2009 e non ancora rimborsati.
L'operazione, il cui valore complessivo supera largamente l'attuale capitalizzazione di Borsa del Monte dei Paschi (poco più di 2,36 miliardi), è naturalmente subordinata all'autorizzazione della Banca d'Italia, che a sua volta deve prima raggiungere un'intesa con la Commissione di Bruxelles su modalità e caratteristiche dei nuovi strumenti, per non configurare distorsioni della concorrenza nell'intervento del Governo di Roma. Tasso d'interesse e condizioni di pagamento sono "particolari" non irrilevanti, sui quali non c'è ancora un punto fermo (vedere altro servizio).
L'emissione dovrà comunque realizzarsi entro il 28 dicembre prossimo, e il prezzo di emissione dei Monti bond sarà alla pari, con valore nominale unitario di un milione. Tempi stretti dunque per concludere quel rafforzamento patrimoniale intorno al quale Siena sta lavorando da oltre un anno, il cui risultato più evidente è una sorta di nazionalizzazione indiretta del terzo gruppo bancario del Paese. Almeno in questa fase.
«La senesità del Monte è già persa, adesso si tratta di impegnarci per cercare di recuperarla», aveva detto papale papale Profumo nel corso di un dibattito estivo davanti a un pubblico composto in prevalenza da sindacalisti poco disponibili ad ascoltare la verità. Le cose sembrano dare ragione al banchiere genovese che insieme all'amministratore delegato Fabrizio Viola sta cercando di realizzare un piano industriale ambizioso, il cui obiettivo finale è quello di raggiungere nel 2015 una redditività del 7% avendo rimborsato quasi del tutto lo Stato.
L'incremento di 500 milioni rispetto a quanto comunicato in precedenza dalla banca, per quanto riguarda l'entità dell'emissione di Monti bond, come si legge in una nota del gruppo di Rocca Salimbeni «è motivato dai possibili impatti patrimoniali derivanti dagli esiti dell'analisi in corso di talune operazioni strutturate poste in essere in esercizi precedenti. Vista la redditività negativa di queste operazioni, oggi incluse nel portafoglio di attività finanziarie aventi per sottostante titoli di Stato - continua il testo - la banca procederà alla rinegoziazione della struttura di funding delle stesse, con l'obiettivo di migliorarne la redditività».
Il mercato non ha accolto con favore la notizia e il titolo Montepaschi è stato penalizzato in Piazza Affari (-2,1%). «La rinegoziazione riteniamo che comporterà una perdita di 500 milioni», dicono gli analisti di Banca Akros, sottolineando come le transazioni strutturate che Siena vuole rivedere si riferiscano alla «copertura dell'esposizione verso titoli sovrani» e come questa attività di hedging «ostacolerà il rendimento del portafoglio di bond sovrani». Il rimedio, insomma, potrebbe essere peggiore del male.
Ma i vertici di Banca Mps non la pensano così e ribadiscono di voler attuare il piano industriale «anche attraverso azioni di discontinuità di natura straordinaria». Come nel caso dell'emissione di Monti bond. Ma non solo. Il turnaround di Siena è appena iniziato.
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