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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2012 alle ore 06:41.

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di Laura Galvagni
Qualcuno l'ha definita una prova muscolare, fatta per tutelare gli interessi di F2i e come tale inattaccabile. Qualcun altro, invece, non l'ha proprio digerita. Anzi, sostiene che, in qualità di socio della Sea, il fondo avrebbe dovuto fare ben altro, ossia agevolare per quanto possibile lo sbarco in Borsa dell'aeroporto. E se questo avesse poi comportato la necessità di riconsiderare il valore di carico della partecipazione detenuta negli scali di Malpensa e Linate, il "mea culpa" avrebbe dovuto essere d'obbligo: Quell'investimento era davvero opportuno? È stato fatto al giusto prezzo? Perché, all'epoca, non si strappò un diritto di prelazione o un diritto di veto?
Si tratta, è lampante, di posizioni completamente opposte e che sarebbero maturate nelle ultime ore in seno alla sgr che governa F2i. In altre parole se può risultare per certi aspetti una forzatura quella di definire i soci spaccati, per altri è innegabile che non tutti, e qualcuno ritiene siano la maggioranza, abbiano gradito i modi con i quali F2i ha difeso il proprio investimento. Nel mirino, evidentemente, è finito Vito Gamberale, l'amministratore delegato del fondo che vanta tra i suoi azionisti la Cdp, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Merrill Lynch, Fondazione Cariplo, Fondazione Crt, Compagnia Sanpaolo, altre cinque fondazioni, l'Inarcassa e la cassa dei geometri.
Sulla qualità delle accuse che vengono rivolte al manager, tuttavia, i fronti sono ancora più divisi. Ammettendo che sia vero che un anno fa il 29,75% della Sea è stato pagato troppo, la transazione chiusa per 385 milioni valorizzava l'intero gruppo 1,3 miliardi, contro gli 1,06 miliardi della base d'asta di Asam e gli 800 milioni strappati in sede di raccolta degli ordini per l'Ipo, oggi, in ogni caso, il fondo aveva tutto il diritto di tutelare i propri interessi. E lo avrebbe fatto, si fa notare, «preservando tra l'altro gli interessi dei risparmiatori».
Per giunta, ora, se il fondo dovesse acquistare il 14,56% della Sea messo all'asta diventerebbe di fatto azionista di controllo dello scalo, quasi sullo stesso piano del Comune di Milano. Salirebbe infatti al 44% del capitale e forte del diritto di co-vendita strappato a suo tempo potrebbe rendere complicata per Palazzo Marino la vendita del proprio pacchetto. Quanto al premio pagato, si potrebbe giustificare con la posizione di forza che il fondo si sarebbe ritagliato all'interno della compagine azionaria, anche se i multipli degli scali europei raccontano tutt'altra storia. La posizione, tra l'altro, seppure in via informale, F2i aveva già tentato di assicurarsela nei mesi scorsi. Il fondo, infatti, prima dell'avvio dell'Ipo avrebbe cercato di aprire un confronto sulla possibilità di acquistare le quote della Provincia. La strada scelta è stata un'altra. L'esito è ben noto e su quel risultato qualcuno è sicuro abbia pesato l'azione del fondo e i modi in cui l'ha condotta. E questo, si sostiene, non può non essere stigmatizzato: F2i, che è espressione anche di interessi istituzionali, ha influito negativamente su un'operazione voluta da due enti locali. Ne sarebbe prova il fatto che a valle del road show l'interesse degli investitori era in realtà elevato: dei 300 interlocutori incontrati 65 erano pronti a entrare.
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