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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2012 alle ore 06:42.

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ROMA
Cinque anni fa il matrimonio era stato celebrato in pompa magna a Nizza, testimoni allora il premier Romano Prodi e il presidente francese Nicolas Sarkozy. Ma ieri le nozze tra Enel ed Edf sul nucleare di terza generazione sono giunte al capolinea, con il gruppo guidato da Fulvio Conti che ha scelto di fare un passo indietro rispetto al tassello clou dell'asse italo-francese: il progetto per la costruzione del reattore Epr (European Pressurized Reactor) di Flamanville, in Normandia.
Fine della collaborazione, quindi, con Enel che ha esercitato il diritto di recesso anche rispetto all'opzione per gli altri cinque impianti Epr previsti in territorio transalpino. L'uscita consente al colosso italiano di recuperare 613 milioni di euro (più gli interessi maturati), cioè le spese anticipate in relazione alla sua quota del 12,5% nel progetto. La risoluzione dell'accordo prevede poi anche la cessazione dei contratti di anticipo di capacità da parte di Edf. I francesi si erano infatti impegnati nel 2007 a garantire all'Enel l'accesso immediato alla capacità virtuale di base, per un totale di 1200 megawatt nel 2012, quale anticipo appunto di quella che sarebbe poi stata prodotta dall'impianto di Flamanville, la cui entrata in esercizio era prevista originariamente proprio quest'anno ed è invece slittata al 2016. L'ammontare complessivo dell'energia fornita da Edf sarà gradualmente ridotto a 800 Mw nel primo, 400 nel secondo, per azzerarsi nel terzo anno dalla data di chiusura dell'accordo (la transazione entrerà in vigore dal prossimo 19 dicembre).
Non è l'addio alla Francia, ci tengono a precisare dal quartier generale di Enel. «Il mercato transalpino rimane strategico per il gruppo» e il rapporto con Edf «proseguirà sulla base dello spirito di reciproca e positiva collaborazione». Nessun contrasto, quindi. Come chiarisce anche il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera. «Frizioni? No, assolutamente no. Enel ha fatto i suoi ragionamenti. Ha valutato che l'investimento fatto non era in linea con le sue aspettative e avendo l'opzione di uscire l'ha esercitata».
Ma certo l'annuncio di ieri era nell'aria. Troppe le incertezze legate al progetto di Flamanville segnato da continui ritardi e incrementi nei costi. Giusto lunedì Edf aveva rivisto al rialzo le stime sulle spese per la costruzione del reattore in Normandia, fissando l'asticella a 8,5 miliardi di euro, due in più rispetto all'ultimo annuncio, ma soprattutto tanti, troppi, se confrontati con il costo messo nero su bianco nel 2005: 3,3 miliardi di euro.
La fine delle nozze tra Enel ed Edf era dunque nell'ordine delle cose. Già il referendum italiano contro il nucleare, dopo la tragedia di Fukushima, aveva assestato un colpo mortale al braccio italiano dell'accordo, la Sni (Sviluppo Nucleare Italiano), la joint venture al 50% tra Enel e i francesi, nata nell'agosto 2009 per portare a termine la costruzione sul nostro territorio di quattro centrali Epr. A dicembre 2011, Edf era dunque uscita dall'avventura italiana, vendendo il suo pacchetto al gruppo di Conti.
Poi lo scenario è cambiato anche in Francia con l'arrivo del nuovo presidente François Hollande che sul ridimensionamento del nucleare in casa ha costruito gran parte del suo programma. Così le certezze attorno al piano di costruzione delle nuove centrali Epr sono venute meno ed Enel ha cominciato a monitorare la situazione per capire che fine avrebbero fatto gli impegni assunti dal precedente esecutivo e da Sarkozy che del nucleare aveva fatto uno dei suoi cavalli di battaglia. Non a caso era stato proprio l'ex presidente francese a benedire l'accordo del 2007. Riconfermando, poi, in due diversi vertici con Silvio Berlusconi, a Parigi, nel 2010, e a Roma, nell'aprile dello scorso anno, il patto italo-transalpino sull'atomo. Ma il divorzio annunciato ieri è la pietra tombale su quell'alleanza.
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