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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2012 alle ore 08:34.
La strana coppia Ferak-Fondazione Crt traballa ma per ora non si separa. La società veicolo Effeti, costruita nel 2010 per acquistare da UniCredit il 2,26% di Generali per il momento non si tocca: troppo costoso uscirne (le azioni del Leone sono in carico a 18 euro, contro i 13,3 a cui ha chiuso ieri il titolo) e inutile prendere decisioni affrettate, per di più a fine anno e a due settimane dalla chiusura dei bilanci. Ma non è detto che con il 2013 il matrimonio possa essere messo in discussione: nessuno, per lo meno in ambienti vicini alla Fondazione Cassa di risparmio di Torino, vede concrete possibilità di rottura, ma se finora il divorzio era da tutti categoricamente escluso, da qualche giorno si ragiona con maggiore prudenza.
Anche ieri il tema è stato oggetto di qualche valutazione informale a margine del consiglio di amministrazione dell'ente, che da pochi giorni ha eletto Antonio Maria Marocco come nuovo presidente, in attesa che nella primavera prossima si rinnovino gli organi collegiali. Un motivo in più, quello del ricambio in corso, per non anticipare decisioni pesanti con ricadute forti sul futuro dell'ente, che due anni fa per il 49,9% di Effeti aveva investito oltre 300 milioni. Tuttavia, si racconta in Fondazione, con il 2013 sarà necessario riesaminare il dossier: la partnership con i soci veneti (in Ferak ci sono gli Amenduni con il 38%, poi Palladio e Finint con il 24% ciascuno), a maggior ragione dopo l'esposizione sulle vicende Generali e FonSai, ha assunto una rilevanza “politica” decisamente maggiore, dunque c'è da fare il punto. A favorire un eventuale divorzio, potrebbe essere l'ulteriore ripresa del titolo del Leone, che ridurrebbe ancora le minusvalenze, ma anche la scadenza degli organi Generali che obbligherà i soci Effeti a sedersi attorno a un tavolo per designare il consigliere che gli spetta (questa volta dovrebbe essere nominato in quota Ferak); senza contare, poi, la posizione di Fabrizio Palenzona: al vice presidente di UniCredit, artefice dell'alleanza due anni e mezzo fa, resta un ruolo di primo piano. Per ora, dunque, si tratta solo di valutazioni. Che si sono intensificate, appunto, dopo il consiglio di amministrazione delle Generali, che si è tenuto lo scorso 14 dicembre e nel corso del quale il presidente Alessandro Pedersoli ha presentato una relazione sulla base di una inchiesta interna, promossa dall'amministratore delegato Mario Greco, sulle relazioni tra compagnia e soci. Nel documento spicca, infatti, la posizione dei soci veneti raccolti in Ferak e rappresentati da Palladio, Amenduni e la Finint di Enrico Marchi e Andrea De Vido. Quegli stessi imprenditori veneti soci di Crt. Già perché nel mirino dell'inchiesta interna è finita soprattutto la struttura del controllo di Palladio che, proprio nel mezzo della battaglia per la conquista di Fondiaria Sai, si era alleata con Matteo Arpe e aveva prospettato un piano alternativo a Unipol. Il nodo è che – stando alla ricostruzione del documento – Palladio è partecipata da veicoli in cui compare indirettamente anche Generali. La merchant bank di Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago ha infatti come socio di riferimento il veicolo di diritto italiano PFH 1 che nel luglio del 2007 ha emesso strumenti finanziari pari al 49% di PFH1 su cui Hsbc ha fatto un total return swap. Nel 2009 lo swap è stato chiuso, la PFH1 ne ha ricomprato circa il 25%, mentre la quota restante, pari al 24% è finita in tre fondi: Ggp e Leo di proprietà di Trieste e un terzo, Tenax partecipato al 49% dalle Generali. Come dire, indirettamente Generali ha una quota di minoranza di circa il 20% di Palladio Finanziaria. «Palladio non è mai stata controllata e non potrà mai essere controllata dalle Generali sulla base delle caratteristiche degli strumenti finanziari emessi», hanno fatto sapere i vertici della merchant bank al Sole24 Ore.
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