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Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2012 alle ore 06:42.

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Tre anni di tempo. Tanto servirà, secondo i patti, per decidere cosa ne sarà della nuova Sintonia, la holding italiana che fa capo alla famiglia Benetton e partecipata da Mediobanca, Goldman Sachs e Gic (Fondo di Singapore). Se scatterà il «liberi tutti», con la scissione della holding, o se al contrario sarà ripensata l'intera strategia con soci vecchi ed eventualmente nuovi. Ad oggi, però, ci sono almeno due punti fermi: «Il dossier Adr è congelato insieme agli investimenti; la fusione tra Aeroporti di Roma e Atlantia in questa situazione non ha alcun senso».
Gianni Mion, manager cresciuto alla Gepi e alla Marzotto e ormai da quasi 30 anni vicino alla famiglia Benetton, in veste di Presidente ed amministratore delegato di Sintonia si dice stupito dello stallo normativo in cui ci si è venuti a trovare. Il riferimento è alla controllata Adr: mancano dieci giorni di tempo, ma la sensazione è che difficilmente arriverà l'ok finale al contratto di programma che dovrebbe sostenere l'ambizioso programma di investimenti garantendo la “bancabilità” del progetto, ovvero la giusta remunerazione e la garanzia regolatoria per gli investitori e i finanziatori. Il 25 ottobre scorso l'Enac ha approvato e firmato le nuove tariffe e l'assetto normativo che hanno ricevuto l'ok informale dal Ministero delle Infrastrutture. L'attesa era per il via libera del Ministero dell'Economia entro il 31 dicembre, senza il quale l'intero progetto decadrà. Dieci giorni di tempo, dunque, ma la sensazione è che il quadro non cambierà e tutto sarà da rifare. «E' una situazione paradossale – spiega Mion – che ci catapulta in un vuoto normativo all'interno del quale sarà difficile gestire aeroporti di Roma». Il punto – osserva il numero uno di Sintonia – è che noi, come azionisti, dovremo cercare di gestire lo scalo romano senza fare investimenti straordinari, occupandoci solo della gestione ordinaria. Ma l'infrastruttura cade a pezzi e ci vogliono centinaia di milioni di euro per la manutenzione ordinaria e alcuni indispensabili interventi straordinari, ma soprattutto per tenerla in vita. E' naturale che ci sia stupore tra i nostri azionisti, specie quelli esteri, tra i quali c'è anche Changi di Singapore, su come sia possibile essere arrivati a questo punto». Ma dunque l'investimento in Adr da parte Sintonia è ora in discussione? «Dipenderà dai soci. Abbiamo rinnovato i patti fino al 2015 e in questo arco di tempo si valuterà cosa fare».
Un primo confronto, in tal senso, è atteso a breve: il consiglio di amministrazione di Sintonia si riunirà domani. All'ordine del giorno c'è il richiamo della parte di aumento di capitale, già deliberato, che il fondo di Singapore, socio con 13,8% della holding, deve versare entro il 15 gennaio. Si tratta di circa 220 milioni. Originariamente gli aumenti di capitale dovevano essere perfezionati solo in presenza di investimenti. Tuttavia, in assenza di acquisizioni l'ultima ricapitalizzazione di Sintonia servirà ad abbattere il debito da 600 milioni a 380 milioni. Un nuovo sforzo finanziario, quello chiesto ai soci di Singapore, che arriva in un momento in cui sembra trapelare non poca delusione per la situazione italiana. «E' naturale che ci siano malumori tra i soci. Il condizionamento che il contratto di programma ha avuto nei confronti del progetto di Sintonia è stato molto forte: la mancanza di fiducia ci ha portato a frenare anche sull'investimento in Sagat, ma soprattutto a non valutare più altre opportunità in Italia in tema aeroportuale». Quindi venderete la quota di Sagat al fondo F2i di Gamberale? «Come ho già detto al Sindaco di Torino Piero Fassino il nostro entusiasmo per l'investimento era strettamente legato all'esito del contratto di programma su Roma. E' chiaro che oggi abbiamo meno determinazione e la cessione della quota, anche a Gamberale, non è da escludere». Già perché, osserva Mion, c'è una grande incomprensione su una questione chiave: il contratto di programma, così come è stato studiato, è finanziabile sul mercato. «Il nostro obiettivo era fare un contratto di programma a prova di rating, sul modello Atlantia. Oggi il mercato del credito è chiuso ed è necessario poter muoversi sul mercato obbligazionario».
Insomma, il mancato via libera a tariffe e assetto normativo crea preoccupazione all'interno della compagine azionaria di Sintonia. Ma soprattutto pone una domanda di fondo: ha senso tenere in vita Sintonia, il cui modello, almeno per come era stato pensato originariamente, non ha più le basi per poter essere portato avanti? Si può immaginare la scissione della holding? «Per ora chiaramente i patti non lo prevedono, ma è chiaro che dovremo ripensare la strategia e la scissione è una delle ipotesi che gli azionisti valuteranno». E la fusione tra Atlantia e Adr? Il progetto è ancora in cantiere? «L'idea della fusione era legata da un lato alla semplificazione societaria del gruppo, dall'altro al fatto che tale operazione con il contratto di programma avrebbe permesso una sensibile accelerazione degli investimenti per Adr. Questo perché Atlantia ha molta esperienza e una struttura operativa di pianificazione ed esecuzione degli investimenti molto forte. E' naturale che con il blocco del contratto di programma decade l'intero progetto di fusione».
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