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Questo articolo è stato pubblicato il 20 dicembre 2012 alle ore 06:42.

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Finirà in tribunale la parabola dell'uomo che volle scalare Volkswagen. Wendelin Wiedeking, ex numero uno di Porsche, è stato rinviato a giudizio dalla procura di Stoccarda con l'accusa di aver manipolato più volte il mercato quando - era il 2008 - la casa automobilistica di Stoccarda tentò l'improbabile takeover del colosso di Wolfsburg. Andò male per Wiedeking poiché il lungo braccio di ferro su chi comprava chi vide prevalere la legge del contrappasso. E come vuole madre natura fu il pesce grosso a mangiare il pesce piccolo: Porsche è oggi il 12° marchio di Volkswagen, ultimo trofeo di caccia del potentissimo Ferdinand Piech, Wiedeking da tempo è uscito di scena e investe la sua fantascientifica liquidazione in catene di pizzerie.
Lo scandalo è clamoroso poiché le manipolazioni attribuite a Wiedeking, e all'allora direttore finanziario di Porsche Holger Härter, anch'egli rinviato a giudizio, provocarono al titolo Vw violente oscillazioni. Almeno cinque volte, secondo i magistrati di Stoccarda che ieri si sono pronunciati dopo un'inchiesta durata tre anni e mezzo, i due manager avrebbero mentito sulle loro reali intenzioni. Almeno cinque volte avrebbero detto e scritto che non erano intenzionati ad acquisire il 75% del gruppo di Wolfsburg quando era già chiaro e comprovato, secondo la tesi della procura, che l'obiettivo finale era il controllo del rivale. Rischiano fino a cinque anni di carcere, senza contare a questo punto le cause che potranno essere intentate dagli investitori americani ed europei.
Perché mentire, spiazzare i mercati? Abbastanza semplice: negare l'esistenza di un progetto così ambizioso faceva perdere valore al titolo Volkswagen, spingeva gli investitori a vendere o a scommettere su un'ulteriore perdita attraverso operazioni di short selling. Nel frattempo, sostiene l'accusa, Wiedeking e Härter rastrellavano in segreto opzioni su azioni ordinarie e privilegiate di Volkswagen a un prezzo decisamente più vantaggioso. Ai tempi si parlò della battaglia di Davide contro Golia e fu anche, in buona parte, uno scontro tra forti personalità, ambizioni smisurate, antiche faide di famiglia e scarsa trasparenza.
Da un lato c'era Wendelin «il giovane», legato alla famiglia Porsche, il manager che aveva salvato negli anni 90 il marchio sportivo di Stoccarda dalla bancarotta, introducendo e adattando la lean production di Toyota, fino a trasformarla nella casa automobilistica più redditizia al mondo.
Dall'altro Ferdinand «il vecchio», anch'egli con il sangue Porsche nelle vene poiché nipote dell'altro Ferdinand, l'ingegnere che per procura di Hitler creò il Maggiolino e il colosso di Wolfsburg. Due rami della stessa famiglia, una con epicentro a Salisburgo (Piech era il cognome da sposata della figlia di Ferdinand I, Louise) e l'altra a Stoccarda.
È finita che il vecchio ha bruciato il giovane, che per comprare azioni Volkswagen aveva letteralmente prosciugato le risorse di Porsche aprendo la strada al takeover alla rovescia. Un'operazione, quest'ultima, rivelatasi anch'essa più complicata del previsto proprio per i rischi associati a eventuali class action di azionisti e investitori. La fusione è stata infatti ultimata nel mese di agosto e i dati di Porsche sono stati consolidati da Vw nell'ultima trimestrale. Ciò ha permesso al colosso di Wolfsburg di registrare un utile netto di 12 miliardi di euro nei primi nove mesi e che nel 2012 dovrebbe portare a un risultato complessivo non lontano dal record dell'anno scorso, con 15 miliardi di profitti.
La vicenda giudiziaria non ha avuto ripercussioni particolari sul titolo del gruppo, che ha chiuso in flessione dello 0,30% a 159,80 euro.
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