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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2013 alle ore 23:08.

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Il fondo Veba, azionista di minoranza della Chrysler con il 41,5%, spinge per la quotazione in Borsa dell'azienda controllata da Fiat. Il fondo - che assicura l'assistenza sanitaria ai pensionati Chrysler ed è gestito dal sindacato Uaw - ha chiesto ieri ufficialmente alla Chrysler di procedere alla "registrazione" presso la Securities and Exchange Commission di una parte della sua quota in vista della possibile quotazione in Borsa, in base allo Shareholders Agreement del 10 giugno 2009. Secondo quanto comunicato ieri in serata, la Fiat "rispetterà i propri obblighi" in relazione allo Shareholders Agreement e all'Operating Agreement, ma precisa che "non è possibile assicurare che un registration statement sarà depositato presso la Sec, né che, se depositato, verrà effettuata un'offerta, né in quali tempi". Tale offerta - aggiunge - verrà effettuata esclusivamente mediante la pubblicazione di un prospetto.

I contratti del 2009 citati sopra sono quelli stipulati al momento dell'ingresso di Fiat e dei sindacati nell'azionariato Chrysler, quando l'azienda uscì dalla bancarotta controllata.
Tali contratti, estremamente complessi, garantiscono una serie di opzioni e diritti a ciascuno dei soci, tra cui quello di chiedere la registrazione in vista della possibile offerta in Borsa (Ipo). La domanda presentata ieri dal Veba non ha per oggetto l'intera sua partecipazione ma circa 270mila azioni Chrysler, ovvero il 16,6% del capitale: tale quota è di dimensioni equivalenti a quella su cui Fiat dispone di una opzione d'acquisto dal Veba - a partire dal luglio scorso - in quote semestrali. Ma può essere solo un caso o un messaggio preciso: del suo 41,5% di Chrysler, in realtà, al Veba è consentito di collocare in Borsa solo il 24,9%, ovvero la parte non soggetta alla call option Fiat.

Della call option il Lingotto ha già esercitato due tranche, una a luglio e una la settimana scorsa, per un totale del 6,64% del capitale che porterebbe al 65% circa la sua quota. Non ha però raggiunto un accordo sul prezzo con il Veba, per una diversa interpretazione della formula di calcolo prevista dai contratti, e la questione è stata portata dal Lingotto di fronte al Tribunale del Delaware. La decisione di quest'ultimo non dovrebbe arrivare prima di marzo.

Proprio la forte divergenza tra quanto offerto da Fiat (140 milioni di dollari per la prima tranche del 3,32%, 198 milioni per la seconda) e quanto richiesto dal Veba (342 milioni per la prima tranche) spiega in parte la mossa di ieri: chiedendo la registrazione in vista della quotazione in Borsa, il fondo Veba avverte di fatto Fiat che se l'offerta resterà troppo bassa, potrebbe cercare per il resto della partecipazione una valutazione migliore direttamente sul mercato. In ogni caso i tempi saranno lunghi: in primo luogo, in base al contratto del 2009 Fiat può rinviare la richiesta di quotazione di sei mesi (180 giorni) senza fornire alcuna spiegazione; una volta registrati i titoli, la procedura stessa per la quotazione (dalla scelta dei collocatori alla predisposizione di un prospetto) richiederà altro tempo. La partita tra i due soci rischia dunque di proseguire a lungo, anche se entrambi hanno interesse a chiuderla: Fiat per conquistare al 100% il controllo dell'azienda e per poter utilizzare più facilmente la sua liquidità; il Veba per diversificare gli investimenti e garantire il pagamento delle prestazioni agli assistiti.

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