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Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2013 alle ore 08:15.

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ROMA
Ufficialmente all'ordine del giorno ci sono l'approvazione del budget - dopo il via libera del cda del 13 dicembre - e lo spin off del programma «Millemiglia». Ma il comitato esecutivo di Alitalia, convocato il 22 gennaio, servirà soprattutto a un primo giro d'orizzonti dopo la fine del lock up tra i soci italiani (scaduto ieri a mezzanotte) visto che, allo stesso tavolo, siederanno i vertici di Alitalia, il presidente di Air France, Jean-Cyril Spinetta, il dg del marketing, Bruno Matheu, e alcuni dei principali protagonisti della partita.
Air France non ha alcuna intenzione di accelerare anche se il dossier Alitalia è un passaggio ineludibile per i transalpini. Ma il taglio agli investimenti deciso nelle scorse settimane e il piano di ristrutturazione messo in campo per ridare respiro alle tratte a breve e medio raggio suggeriscono prudenza. L'ipotesi che circola prevede che la holding Air France-Klm compri le quote degli italiani, in tutto il 75%, non attraverso un esborso in denaro ma offrendo in cambio le sue azioni. Agli attuali corsi di Borsa (venerdì il titolo quotava 7,76 euro), il gruppo capitalizza 2,3 miliardi di euro. Se a prevalere fosse la linea di alcuni soci italiani - farsi riconoscere un premio del 30% rispetto al capitale versato nel 2008 - il 75% della società varrebbe 1,1 miliardi di euro, praticamente la stessa cifra versata da tutti gli azionisti (francesi inclusi) quattro anni fa. La compagnia transalpina non sembra disposta a sostenere un simile sforzo finanziario, ma vorrebbe riconoscere alle azioni della cordata italiana un valore al di sotto degli 847 milioni assicurati a fine 2008 (si parla di un taglio del 40%).
Sullo sfondo resta poi l'ipotesi di un acquirente extracomunitario: Etihad, Aeroflot e Qatar Airways, ma da russi e qatarini non è mai giunta alcuna conferma. Agli sceicchi di Abu Dhabi - con i quali Alitalia ha già un accordo di code-sharing - i mezzi non mancano. Etihad, però, non potrebbe andare oltre il 49,9%, pena la perdita dei diritti di traffico sul lungo raggio, oltre che per i voli nella Ue. Finora la compagnia si è solo limitata, dalle pagine del quotidiano francese Les Echos, a manifestare la sua disponibilità all'acquisto di una quota degli azionisti di minoranza di Alitalia. Se, dunque, gli emiri decidessero alla fine di rilevare il 49,9%, servirebbero 560 milioni circa ai valori del 2008 (730 milioni di euro se si aggiungesse un premio del 30% secondo la pretesa di alcuni soci), per assicurarsi l'ingresso nel capitale sociale della compagnia. Che, bilancio 2011 alla mano (l'ultimo disponibile), è rappresentato da 501,2 milioni di azioni ordinarie (distribuite tra i 21 soci italiani) e da 167,08 milioni di azioni di categoria B in mano ai francesi del valore nominale pari a 1 euro, con una riserva da sovrapprezzo per le azioni di 501,5 milioni.
Si è anche parlato di una terza strada: l'ingresso nel capitale di Cassa Depositi e Prestiti attraverso il suo braccio "armato", il Fondo Strategico italiano di Maurizio Tamagnini. Nelle scorse settimane l'ad di Cdp, Giovanni Gorno Tempini, interpellato sul dossier, ha escluso categoricamente questo scenario. «Alitalia non ha le caratteristiche tali per essere considerata un'azienda in cui il Fondo può investire». Le ragioni del niet sono nero su bianco nello statuto del Fsi laddove si dice che le imprese oggetto di investimento «dovranno essere in una stabile situazione di equilibrio finanziario, economico e patrimoniale, nonché caratterizzate da adeguate prospettive di redditività e di sviluppo». Difficile, dunque, che Colaninno e soci possano bussare al portone di Via Goito.
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