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Questo articolo è stato pubblicato il 17 gennaio 2013 alle ore 06:42.

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LONDRA. Dal nostro corrispondente

MILANO
Gli Stati Uniti nel 2013 diverranno il primo produttore al mondo di combustibili liquidi – tra petrolio, biocarburanti e derivati del gas – con un'accelerazione che lascerà al palo sia la Russia sia l'Arabia Saudita. Il sorpasso, inatteso in tempi così rapidi e determinato dal boom delle fonti non convenzionali, avverrà solo se Riad continuerà a limitare la produzione, come ha iniziato a fare da qualche mese.
Lo scenario è stato tracciato da Bp nell'Energy Outlook 2030, un documento che mette l'accento sull'effetto esplosivo del "tight oil", petrolio non convenzionale, estratto con modalità simili a quelle utilizzate per lo shale gas, che sta rivoluzionando l'industria degli idrocarburi americana. Entro il 2030, secondo il colosso energetico guidato Bob Dudley, il 9% delle forniture globali di energia fossile arriveranno dal tight oil, di cui il Nord America si confermerà campione. «La rapidità con cui il tight oil si è allineato allo shale gas ci ha francamente sorpresi», ha ammesso Cristof Ruehl, chief economist di Bp e mente dell'Outlook.
Secondo il gruppo di Saint James Square, saranno solo le fonti non convenzionali - compresi il petrolio da sabbie bituminose e i biofuels – a garantire l'aumento dell'offerta fino al 2020, mentre contribuiranno per il 70% all'incremento previsto fino al 2030. La produzione Opec fino al 2020 non tornerà più a superare 30 milioni di barili al giorno (mbg), secondo Bp. E la capacità di riserva dell'Organizzazione entro il 2015 supererà 6 mbg, il massimo dagli anni 80.
Bp non ha cambiato le previsioni sulla domanda di energia mondiale, confermando che la crescita sarà dell'1,6% all'anno, quasi interamente generata dalle economie dei Paesi emergenti, fuori dalle liste dell'Ocse. Così come ha ribadito che le fonti rinnovabili continueranno ad essere l'area di maggiore crescita, con uno sviluppo del 7,6% l'anno (nonostante la partenza sia da una base molto contenuta).
La notizia del sorpasso americano svelata da Bp arriva a due mesi dalle previsioni dell'Agenzia internazionale per l'energia (Aie), secondo cui nel 2020 gli Usa diventeranno il primo produttore di greggio al mondo. Russia e Arabia Saudita, dice ora Bp, avranno riguadagnato la supremazia nel 2030, con il rallentamento delle estrazioni di shale oil. Ma per quella data Washington sarà diventata al 99% autosufficiente nel soddisfare il fabbisogno energetico.
L'emergere degli Stati Uniti come una potenza del petrolio sta già condizionando i mercati. Nel suo ultimo rapporto mensile, anch'esso diffuso ieri, l'Opec ha abbassato le previsioni sulla richiesta del suo greggio, proprio in relazione all'attesa di maggiori forniture da altri Paesi, Usa in testa: l'offerta non Opec è attesa salire di 930mila bg nel 2013, a 53,92 mbg, riducendo il cosidetto "call on Opec" a 29,65 mbg (29,07 nel primo semestre).
Nonostante il recente taglio della produzione saudita, confermato dall'Opec, l'Organizzazione estrae tuttora 30,37 mbg e ieri il ministro del Petrolio degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed Al Hamli, ha escluso di seguire l'esempio di Riad: «Al momento restiamo fermi. Il mercato acquista tutto ciò che produciamo».
La situazione sembra insomma preludere a un forte accumulo delle scorte globali di greggio, anche se i prezzi restano ostinatamente elevati. Il Brent vale tuttora più di 110 dollari al barile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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