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Questo articolo è stato pubblicato il 31 gennaio 2013 alle ore 06:42.

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Tutti insieme controllano il 70% della produzione mondiale di potassio, uno dei principali fertilizzanti utilizzati in agricoltura, e per venderlo si servono di due potenti alleanze, che si spartiscono a metà il mercato. Ma non si è riuscito a dimostrare che costituiscano un cartello, né che abbiano in alcun modo violato le leggi sulla concorrenza.
Le canadesi Potash Corp of Saskatchewan e Agrium e la statunitense Mosaic, che commercializzano insieme il potassio attraverso Canpotex, hanno chiuso ieri con una serie di accordi extragiudiziali tutte le cause antitrust che erano state aperte contro di loro negli Usa. Lo stesso avevano fatto lo scorso settembre le concorrenti dell'ex Unione Sovietica: la russa Uralkali (che due anni fa si è fusa con Silvinit) e la bielorussa Belaruskali, che invece utilizzano come braccio commerciale la Belarusian Potash Company (Bpc).
Si cancella così la speranza, coltivata da consumatori di tutto il mondo, di contrastare con l'intervento della giustizia Usa quello che viene visto come un potere eccessivo e, secondo le accuse, spesso scorretto. Le società sul banco degli imputati se la sono tra l'altro cavata senza bisogno di ammettere alcun comportamento scorretto – anzi, negando in qualche caso con toni veementi – e con il pagamento di somme davvero irrisorie se confrontate con i ricchi profitti accumulati negli ultimi anni.
Potash Corp, il numero uno mondiale del potassio, a lungo sotto i riflettori per la scalata fallita da parte di Bhp Billiton, verserà in tutto 43,75 milioni di dollari, la stessa cifra per cui si è accordata Mosaic, mentre la più piccola delle tre società, Agrium, metterà tutto a tacere con appena 10 milioni.
Il ceo di Potash Corp, Bill Doyle, ha voluto anche sfogarsi attraverso un comunicato. «Queste accuse sono del tutto prive di fondamento», ha affermato il manager, scagliandosi contro «il ben documentato abuso di class action negli Stati Uniti», in cui avvocati «egocentrici»promuovono cause «prive di merito». «La realtà è che abbiamo soppesato lo sforzo che avremmo dovuto sostenere per difenderci, in termini di tempo e risorse – ha precisato il ceo – e abbiamo deciso che il nostro management si sarebbe dovuto piuttosto concentrare sulla produzione di potassio e sul servizio ai nostri clienti».
Le cause contro i big del potassio vennero avviate da parecchi consumatori nel 2008, quando il prezzo del minerale era salito fino a 1.000 dollari per tonnellata sul mercato spot, decuplicando nel giro di circa 5 anni. La recessione globale portò in seguito a un crollo dei prezzi, ma fino a oggi non si è più scesi sotto 350 $/tonn (oggi costa circa 400 $). Secondo le accuse, i produttori si sarebbero spesso accordati per ridurre insieme l'output, mentre i contratti di fornitura negoziati con Cina e India sono stati usati indebitamente come benchmark per imporre lo stesso prezzo in tutto il mondo.
La Corte d'appello di Chicago, che nel settembre 2011 aveva fatto decadere le cause ritenendole estranee alla sua giurisdizione, ha poi ribaltato inaspettatamente la decisione lo scorso luglio, aprendo potenzialmente una lunga e onerosa battaglia legale.
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