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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2013 alle ore 08:20.

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Mentre le raffinerie chiudono una dopo l'altra in Europa, sotto il peso di margini sempre più ridotti e di una domanda di carburanti asfittica, negli Stati Uniti – o meglio, in alcune zone degli Stati Uniti – il downstream è tornato ad essere un affare d'oro. Dopo le trimestrali eccellenti pubblicate nei giorni scorsi da alcuni raffinatori d'oltre Oceano, anche ExxonMobil e Chevron hanno superato le attese degli analisti proprio grazie alla lavorazione del greggio, che ha generato profitti tanto ricchi da spingere in secondo piano le difficoltà che entrambe hanno invece accusato sul versante dell'esplorazione e produzione.
I bilanci delle due maggiori major integrate statunitensi sono l'ennesimo riflesso della rivoluzione dello shale oil, che tra cinque anni, secondo le previsioni dell'Agenzia internazionale per l'energia, potrebbero consentire agli Usa di scavalcare l'Arabia saudita come primo produttore di petrolio al mondo. L'enorme e improvviso aumento dell'output, unito all'inadeguatezza delle reti di oleodotti, ha creato un eccesso di offerta in alcune aree del Nord America, facendo crollare i prezzi delle varietà di greggio locali: il greggio canadese è oggi il più economico del mondo, costando appena una sessantina di dollari, quelli estratti dalle rocce del North Dakota e del Texas valgono poco di più. Lo stesso Wti – che pure è vicino ai massimi da 5 mesi, a 97,77 $/barile – costa per gli stessi motivi molto meno dell'europeo Brent, il cui prezzo ieri è salito ancora, a 116,76 $, il livello più alto da ottobre.
Chi riesce ad approvvigionarsi facilmente di greggio nelle regioni dove questo è abbondante ed economico, gode di un vantaggio competitivo enorme. Non tutte le società americane riescono a farlo: mentre gli utili di Valero Energy, Marathon Petroleum e Phillips 66 volano, Hess Corp, attiva sulla East Coast, ha invece annunciato questa settimana di voler uscire dal settore della raffinazione, in cui accumula forti perdite.
Nella divisione downstream Exxon gli utili li ha addirittura quadruplicati nel quarto trimestre, da 425 milioni a 1,77 miliardi di $, grazie a un rialzo del 46% dei margini di raffinazione. Un successo che le ha consentito di ottenere complessivamente un profitto di 9,95 miliardi (+5,9%), il più alto degli ultimi cinque anni. Anche per l'intero 2012, complice la dismissione di alcuni asset in Giappone, il risultato è stato da primato: 44,8 miliardi di $. Le era andata meglio solo nel 2008 quando, con i prezzi del petrolio al record storico, raggiunse 45,2 miliardi.
Oggi non è più l'upstream a brillare. Nel trimestre la produzione di idrocarburi della major è diminuita del 5,2% a 4,3 milioni giornalieri di barili equivalenti petrolio, il minimo da tre anni (non è calato solo il gas, ma anche il greggio, che è sei volte più redditizio: -2,1% a 2,2 mbg). Gli utili nell'Exploration & Production si sono contratti del 12% a 7,76 miliardi.
La raffinazione è il punto di forza anche nel bilancio di Chevron, che tra ottobre e dicembre 2012 ha registrato utili record di 7,25 miliardi di $ (+41%, ma c'è stato anche un vantaggioso scambio di asset in Australia). Pure Chevron, come Exxon, ha fatto un passo indietro nella produzione di greggio: -1,2% a 1,8 mbg.
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