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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2013 alle ore 08:19.

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FIRENZE
Nei prossimi giorni, Banca Mps emetterà Monti bond per 4,071 miliardi. E il Tesoro li sottoscriverà entro il primo marzo, come prevede il timing del decreto legge. Il rafforzamento patrimoniale del terzo gruppo italiano del credito sta dunque arrivando in porto (l'iter era partito in estate!), anche se incombe l'ipotesi di un ricorso al Consiglio di Stato da parte del Codacons, che potrebbe rivolgersi ancora al Tar (dopo la bocciatura di giovedì), una volta emanato il decreto di sottoscrizione.
Il mercato dà comunque la cosa per fatta e ieri il titolo Mps ha guadagnato il 2% a Piazza Affari. La strategia dei vertici senesi, del resto, non prevede un "piano B" rispetto ai Monti bond, strumenti ibridi (che rafforzano il coefficiente patrimoniale Core Tier 1) e convertibili in azioni Montepaschi a discrezione dell'emittente, cioè Rocca Salimbeni (che nel tempo paga un interesse crescente dal 9 al 15%). Senza il finanziamento pubblico, insomma, il piano industriale presentato a giugno rischierebbe di perdere proprio il pilastro centrale, quello della messa in sicurezza patrimoniale richiesta dall'Autorità bancaria europea (Eba).
Risolto questo passaggio, la scommessa ingaggiata dal presidente Alessandro Profumo e dall'amministratore delegato Fabrizio Viola, i due manager che hanno raccolto la pesante eredità della gestione Mussari-Vigni, riguarda essenzialmente la capacità di Banca Mps di ripagare il finanziamento pubblico (400 milioni d'interessi già nell'esercizio 2013) e "richiamare" i Monti bond entro il 2017, attraverso il recupero di efficienza operativa, dismissioni e un aumento di capitale da un miliardo senza diritto d'opzione che gli azionisti hanno delegato al consiglio d'amministrazione.
La Fondazione Mps è impegnata in una sfida analoga, avendo 350 milioni di debito (con titoli Mps come garanzia) da restituire in cinque anni. Anche l'Ente presieduto da Gabriello Mancini dovrà vendere per fare cassa e la prospettiva è che (una volta realizzato l'aumento di capitale da un miliardo di Mps) scenda sotto il 10% nel capitale della banca di Rocca Salimbeni. Una situazione per la comunità senese indubbiamente difficile, sulla quale interviene con parole dure Giuseppe Guzzetti.
«Si sapeva da tempo che finiva così», ha detto ieri a un'iniziativa dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze il presidente della Fondazione Cariplo e dell'Acri, l'Associazione nazionale della categoria dove ha avuto come vice sia Mussari che Mancini. «La vicenda di Siena ci crea un sacco di problemi - ha aggiunto - ma in Italia non esistono altri casi di Fondazioni che abbiano combinato guai: e poi, a parte scelte più o meno condivisibili, nessuno è andato in galera, a differenza di quanto accaduto in altri settori».
Guzzetti stigmatizza il lancio di monetine contro Mussari, il giorno dell'interrogatorio in Procura («C'è un giudizio di esecrazione rispetto al linciaggio, anche perchè siamo in una fase in cui la giustizia sta indagando»). Ma non risparmia critiche agli ex vertici del gruppo: «I fatti che emergono - ha sottolineato - denotano una gestione inadeguata per una grande banca come Mps».
La condanna dell'opinione pubblica è già arrivata e ne sta facendo le spese anche Franco Ceccuzzi, ex sindaco Pd la cui corsa per il Centro-Sinistra alle prossime comunali di maggio appare segnata. Più dell'inchiesta salernitana sui finanziamenti al pastificio Amato, che lo coinvolge, l'uomo politico senese paga il conto del disastro economico del sistema Fondazione-Banca Mps.
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